Evitare di telefonare alle ore tarde della sera non solo è una regola di buona educazione ma, secondo la Corte di Cassazione, può essere anche reato. La vicenda dalla quale scaturisce la massima giurisprudenziale è la seguente: il Tribunale di Chieti, con la sentenza pronunciata il 24.4.2008, dichiara responsabile e condanna l’ex marito per ilreato ex art. 660 cp, per aver telefonato alla ex moglie dopo la mezzanotte, ritenendo priva di pregio la tesi dell’imputato secondo cui lo stesso intendeva soltanto contestare alla moglie il fatto che non gli aveva consentito di vedere il figlio, sollecitando il suo rispetto delle condizioni di affidamento del minore. Il Tribunale ha ritenuto che una telefonata a quell’ora tarda era “idonea a disturbare il sonno e rendeva evidente l’intento di molestare, perché, a mezzanotte, non poteva avere alcuna concreta utilità sollecitatoria”. La sentenza è stata poi confermata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 36/2009, nella quale si legge come. La sentenza si inserisce nel tema delle liti tra ex coniugi: purtroppo, con la separazione, spesso vi è una “proliferazione” di cause tra gli stessi, originate da chi, non essendo in grado di comprendere i motivi della nuova situazione personale ma, anzi, vivendola come una “offesa” o come un “torto” subito, non riesce a prevedere l’effetto delle proprie azioni, che spesso producono conseguenze penalmente rilevanti (come nel caso delle telefonate “notturne”). L’art. 660 del codice penale (molestie o disturbo alle persone) prevede e punisce il comportamento di chi, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo causa ad altri molestia o disturbo; la telefonata, quindi, deve essere effettuata solo per “petulanza o per altro biasimevole motivo” e deve essere tale da produrre una molestia o disturbo nell’altro soggetto. Il marito, cercando di far annullare la sentenza di condanna, aveva evidenziato come la sua telefonata non poteva essere considerata “petulante”, perché si trattava di una sola ed unica telefonata, effettuata intorno alla mezzanotte ed al cellulare della ex moglie, indicando perfino un precedente giurisprudenziale della Corte di Cassazione, la sentenza n. 7044/1998 (ad onor del vero detta sentenza aveva escluso il reato di molestie, ma in relazione a n. 2 telefonate “silenziose”, cioè senza alcuna parola, ed effettuate nelle ore diurne alla stessa persona che, se da un lato sono censurabili sul piano della correttezza e della buona educazione, non integrano il concetto di petulanza, penalmente rilevante). Inoltre il marito aveva evidenziato alla Corte di Cassazione la carenza del “biasimevole motivo”, in quanto la telefonata non era diretta ad interferire nella sfera di libertà dell’ex moglie, ma aveva l’unico scopo di chiedere informazioni sul figlio, in quanto il giorno precedente (dalle 18 alle 21) quest’ultimo doveva incontrarsi con il padre(ciò non era avvenuto in quanto il minore era stato portato al mare dalla mamma, rientrando in casa dopo le ore 20.00). Entrambe le motivazioni addotte dal marito sono state considerate irrilevanti, con la conseguente sua condanna ai sensi dell’art. 660 cp. La sentenza del Tribunale di Chieti aveva opportunamente evidenziato come la vicenda si iscriveva nel contesto di una separazione personale, con contrasti tra i coniugi; la sentenza aveva altresì evidenziato come la telefonata era stata effettuata “oltre la mezzanotte”, e, quindi, era idonea a disturbare il sonno e non era idonea, invece, ad avere alcuna efficacia a sollecitare il rispetto degli obblighi relativi alle visite del figlio. Su questo ultimo punto appare necessario ricordare, infatti, che esistono ben altri mezzi giuridici per imporre il rispetto delle condizioni di separazione, come, ad esempio, l’art.709 ter cpc (introdotto dalla nota legge n. 54/2006 sull’affidamento condiviso dei figli) che prevede, in caso di comportamenti che ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento dei figli, anche la possibilità di condannare il genitore al risarcimento dei danni nei confronti del minore o dell’altro genitore, oltre alla possibilità di condannarlo al pagamento di una sanzione amministrativa fino ad un massimo di 5.000,00 euro a favore della Cassa della ammende.