Parafrasando un vecchio adagio diremmo che senza sovranità non si cantano messe. Purtroppo la sovranità, come la conoscevamo, è stata in gran parte erosa dalla globalizzazione e per “cantar messe” la si deve recuperare al cento per cento, ovvero nei seguenti campi: alimentare, economico, energetico, strategico, militare e, ora più che mai, digitale.
Lo stiamo ricordando da tempo; dipendiamo dall’Asia oltre il lecito per l’approvvigionamento delle materie prime critiche. Questa situazione rappresenta un grosso problema, tant’è che senza autonomia tecnologica presto saremo completamente schiavi della Cina che sulle citate materie e sulle terre rare la fa da padrona. Tra l’altro, giova ricordare che comunicazione, transizione energetica, elettrificazione dei trasporti, difesa e cybersicurezza dipendono da queste così dette «materie essenziali».
Chips Act, forse qualcosa si muove!
Secondo la definizione ufficiale, il Chips Act è il pacchetto legislativo europeo sui semiconduttori, approvato l’8 febbraio 2022 dalla Commissione Europea, e prevede 43 miliardi di euro per raddoppiare entro il 2030 la produzione europea di chip e rendere autonomi gli Stati membri dalle forniture extra UE. Obiettivo dello stesso è garantire il rifornimento di chip agli Stati membri dell’UE e promuovere gruppi di lavoro nazionali per la realizzazione e la produzione di semiconduttori.
La pandemia e le successive tensioni geopolitiche hanno causato, come noto, una crescente difficoltà di reperimento di materiali semiconduttori con effetti oltremodo preoccupanti per l’industria europea e non solo. Di conseguenza, ecco che finalmente le menti illuminate di Bruxelles hanno capito la necessità dell’approvazione e dell’attuazione del Chips Act prima di trovarsi ancora una volta in chip shortage (crisi dei semiconduttori).
Bontà loro, se non saremo quindi cronicamente «sinodipendenti» e riusciremo a recuperare nel tempo l’autonomia digitale! Perlomeno i soloni della politica che ci guidano, oltre che perdersi in fantasticherie, in strabilianti ricette con insetti, in regole assurde e in estrosi divieti, una o l’altra l’azzeccano, di tanto intanto.
Non a caso, a proposito di divieti, giorni addietro Elon Reeve Musk, in viaggio in Europa alla ricerca di appoggi contro le regole del web, rispondeva picche all’invito di Tajani di scegliere l’Italia come il miglior Paese per investire. Egli faceva notare che l’Italia fa parte dell’UE ove vigono troppe regole e confuse, per cui grande è il rischio che qualsiasi attività finisca per diventare illegale. Tant´è.
Le norme e le regole, detto in parole povere, sono obblighi o divieti che dettano la nostra condotta, ma c’è modo e modo di applicarle e l’UE, secondo l’osservazione di Musk, le applica spesso e volentieri oltre misura e irragionevolmente. Riteniamo però che la stessa ‘vocazione’ non possa essere addebitata al nostro governo, ragionando per induzione. Esso, ad esempio e a differenza dei precedenti, ha recentemente scritto una buona pagina di geopolitica industriale: ha in sostanza tutelato gli interessi nazionali applicando sensatamente la norma dei poteri speciali (Golden Power) per impedire l’ingerenza della Cina negli affari di Pirelli sul progetto degli pneumatici smart Cyber. Riccardo Puglisi, economista dell’Università di Pavia e studioso del ruolo politico dei mass media, conferma la nostra opinione ricordando l’assioma: «La geopolitica industriale ha bisogno dei poteri speciali dello Stato».
In realtà l’Italia legifera fin dove può nell’ambito della propria autonomia; è parte dell’UE e sono le norme comunitarie, non le nazionali, quelle che maggiormente allarmano gli investitori stranieri dello stampo di Musk.
Siamo alla fine della globalizzazione incontrollata?
Dicevamo che forse qualcosa si muove: l’Europa finalmente si trincera per proteggere le tecnologie sensibili e la titolarità delle proprie invenzioni nonché il diritto di utilizzarle. Alle porte del prossimo Consiglio europeo, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha depositato agli atti un documento sulla sicurezza economica in linea con la missione di “de-risking”, trattata nel summit G7 di Hiroshima poco tempo fa. In sostanza, si tratta di dare chiaramente un altolà a determinate importazioni dalla Cina: si discute appunto sull’eliminazione del rischio di «un’eccessiva dipendenza [tecnologica ed energetica n.d.r.] da un singolo Paese, specialmente se con valori, modelli e interessi sistemicamente divergenti».
“Errare è umano, persistere è diabolico”
Riprendendo il filo del discorso sui chip, allo stato attuale, il 65 % della produzione mondiale degli stessi avviene a Taiwan; la progettazione e la relativa ricerca negli USA; e l’assemblamento in Cina. È dunque chiaro che ci troviamo di fronte ad una stupefacente ragnatela industriale dislocata qua e là sul pianeta a causa del fenomeno globalizzazione; che nessuno Stato ha il controllo totale della filiera produttiva dei semiconduttori; e che appena si presenterà una seria crisi di qualsivoglia natura, voilà, è qui che casca l’asino!
Di sicuro la previdenza e la politica del de-risking non sono il forte dei big che fanno parte del cerchio magico del club Bilderberg. Essi decidono secondo i propri interessi la strategia dell’economia globale e non per altro ci ritroviamo al punto in cui siamo! In altri termini, la bramosia del guadagno rende ciechi i signori delle multinazionali, che insistono a dislocare malaccortamente su e giù per il mondo, a seconda del calcolo del maggior lucro finale, la filiera delle produzioni sensibili e a rischio. Ciò facendo, per quanto concerne la sicurezza nazionale e dell’approvvigionamento, ahinoi, si torna a punto e a capo.
Recentissima la notizia secondo cui St Microelectronics e Sanan Opto Electronics hanno realizzato una joint venture che riguarda i semiconduttori al carburo di silicio con la costruzione in Cina di un mega impianto che dovrebbe iniziare la produzione e la vendita già a fine 2025. A tal proposito Jean-Marc Chery, presidente e CEO del gruppo italo-francese di semiconduttori, ha precisato: “Questa iniziativa è coerente con l’ambizione di ST di ricavi per 20 miliardi e oltre di dollari nel 2025-2027 e con il relativo piano finanziario, precedentemente comunicato ai mercati”.
Ed ecco che l’unico fine della grande industria è il profitto immediato e non importa se poi il bene prodotto sarà liberamente disponibile sul mercato o se p. es. avverrà, involontariamente o no, una “chip crunch” e cioè una carenza di componenti al silicio come quella che, da quasi due anni, affligge e danneggia i flussi di produzione tecnologica dell’industria dell’auto e non solo.
Sin dall’era del cucco, purtroppo, nulla inquieta e affascina il genere umano più del denaro. Esso rappresenta la schiavitù moderna secondo Tolstoj. E non si sbagliava davvero la buonanima!
Possiamo dunque affermare che l’approvazione del Chips Act e l’adozione della politica del de-risking sono i segnali di un’Europa che si sta svegliando dall’incantesimo e dal conformismo di comprare tecnologia made in P.R.C. (Cina), già pronta al consumo e a buon prezzo, dal momento che gli «effetti collaterali» e le «controindicazioni», in caso di crisi, si sono rivelati non poco perniciosi. A questo punto riteniamo meritevole di un forte plauso lo stanziamento da parte dell’Unione di 43 miliardi di euro per raddoppiare entro i prossimi sette anni la produzione tecnologica europea e per incrementare lo studio della più avanzata tecnologia.
Ma cosa si intende per tecnologia?
Se da una parte essa può essere intesa come ‘ricetta’ per la realizzazione di un prodotto finale o di un determinato obiettivo, dall’altra indica le modalità con cui uno staff di specialisti opera e compie specifiche azioni applicando detta `ricetta´ al caso concreto, per il buon esito di quanto programmato. In altre parole, la tecnologia attiene sia al prodotto che ai cervelli che di essa fanno uso.
Incetta di cervelli dell’hi-tech
Ed è sui cervelli che desideriamo soffermarci per un attimo. La crisi, va precisato, riguarda non soltanto i materiali e i software ma anche i tecnici, gli ingegneri e il personale qualificato. Accaparrarsi un bacino di competenze è oggi senza dubbio l’investimento migliore che si possa fare e, di certo, l’Europa non può restare indifferente all’incetta di cervelli dell’hi-tech, da tempo in atto da parte di Stati Uniti, Cina, Corea del Sud e Giappone.
Se si tiene conto che l’industria globale dei semiconduttori, secondo recenti dati, entro il 2030 avrà un valore stimato di 1 trilione di dollari mentre oggi vale solo 600 miliardi, si deduce che gli operatori tecnici, attualmente insufficienti al bisogno, domani saranno in numero assolutamente inadeguato a sviluppare e utilizzare software compatibili col design sempre più avanzato dei nuovi chip in via di costante sviluppo. Ne discende quindi che sarà denaro malimpiegato se gli investimenti europei riguarderanno solo la corsa a realizzare la filiera in hub regionali su design, manifattura e R&S (ricerca e sviluppo) e non anche la formazione fin da subito di talenti capaci di operare e dominare le nuove tecnologie. Sarebbe come costruire un bolide super tecnologico di F1 e non avere un pilota capace di guidarlo!
L’industria dei chip sarà dominante domani come lo è quella del petrolio oggi
Le politiche governative e in particolare quelle del Ministero dell’Istruzione e del Merito devono incentivare e convincere i giovani ad interessarsi e specializzarsi in elettronica ed elettrotecnica, che insegnano a comprendere i campi dell’elettrologia e della robotica applicata ai processi produttivi. Solo così facendo si porranno le basi di una futura generazione di ingegneri dei semiconduttori.
Non è mai troppo tardi
A partire dal 28 aprile e fino al 16 maggio dello scorso anno le imprese italiane, nell’ambito dell’iniziativa europea KDT JU (Key Digital Technologies Joint Undertaking), avrebbero potuto presentare domanda per richiedere incentivi a sostegno della ricerca, progettazione e produzione di elettronica innovativa. Bene dunque, il nostro auspicio è che analoghi se non maggiori incentivi siano messi a disposizione di coloro che intraprenderanno i vari corsi di studi in ingegneria elettronica.
La “guerra” dei chip è notoria, all’ordine del giorno, quella dei talenti è silente, ma non per questo meno determinante per la tanto necessaria sovranità digitale. Formare e valorizzare i nostri cervelli sia infine la parola d’ordine!
Avanti dunque, senza esitare: imboccare un buon cammino non è mai troppo tardi!
Giuseppe Arnò