Non so quanti siano gli abruzzesi che stanno seguendo l’interessante dibattito che si è sviluppato sull’ Università regionale una e trina. Anzi, logisticamente quadrupla, come ora si presentano gli atenei e le facoltà disseminati nei quattro capoluoghi della regione. Nel momento critico e difficile che si attraversa, la moda
è di tagliare, accorpare, ridurre. Tutto il contrario di come siamo andati avanti in questi ultimi 50 anni, quando una bretella autostradale, una facoltà accademica e persino un capoluogo regionale non si negavano a nessuno grazie alla politica dei doppioni e del “vogliamoci bene”. Adesso che nel mondo infuria la tempesta dell’economia e dei mercati, vorremmo diventare più saggi e meno spreconi anche noi… italiani e abruzzesi. Dopo le Province da tagliare al più presto, ecco il discorso sulle Università e i poli accademici nei quattro capoluoghi abruzzesi e non solo. La diagnosi, apparentemente più semplice e sbrigativa, sarebbe quella che vede nell’accorpamento in una sola università la soluzione di tutti i mali. Che poi, andando al dunque, i problemi sarebbero i costi, gli sprechi e la carenza di fondi pubblici e privati per far fronte alle esigenze di una moderna e organizzata Università per tutti. Ciò che, sostengono alcuni, ci consentirebbe di uscire dalle posizioni dei fanalino di coda e organizzare università poggiate sul merito e la qualità, sfornando giovani neodottori capaci di affrontare le sfi de del mondo moderno. Ma sarà così? Questa dell’università unica è davvero la via maestra per risolvere tutto e guardare il futuro finalmente con fi ducia? Per quanto ci riguarda, senza minimamente voler sottovalutare il contributo dato sul tema da studiosi ed esperti addetti ai lavori, ci sentiamo di condividere in pieno la bella, precisa ed approfondita analisi fatta su “Il Centro” di venerdì 16 settembre da Luciano D’Amico, preside della facoltà di Scienze della comunicazione a Teramo. Che ha praticamente smontato tutte le facili premesse e deduzioni sulla “formula felice” dell’Ateneo unico ed accorpato. Per dimostrare che forse, tutto sommato, i conti dei miracoli non tornerebbero. Insomma, non basta fondere e unire per risparmiare. E poi chi ha dimostrato che, andando avanti con una sola università invece che con tre, i conti si sistemerebbero automaticamente? E la “qualità” dell’offerta accademica di un maxi-ateneo quale sarebbe? I numeri sui conti della spesa non ci sono. Facile da fare invece l’addizione della popolazione studentesca e dei docenti, con tutte le problematiche connesse (soprattutto logistiche), per concludere che forse non è auspicabile il ritorno ad una università accorpata, pletorica, sovraffollata e sovradimensionata. Dice bene il prof. D’Amico (e sottoscriviamo): “Non è certo negando la complessità anche organizzativa di un sistema di alta formazione che si creano le premesse per il suo sviluppo (e tanto meno proponendone una semplifi cazione mediante accorpamenti)…”. Il vero problema, quindi, in Abruzzo, non sono le tre università. Sarebbe meglio forse approfondire in direzione del merito di chi insegna e chi apprende, della qualità e della programmazione regionale dell’offerta. Per correggere gli errori del passato e non farne di nuovi.