di Angela Casilli
L’incognita Trump pesa sul futuro dell’America, chiamata ad eleggere il prossimo 5 novembre il suo Presidente, i 435 membri della Camera, un terzo dei Senatori e ben 11 governatori. E’ opinione di molti analisti che queste elezioni, oltre ad avere un’importanza non da poco per la politica e l’economia mondiale, segneranno una svolta per l’America, perché decideranno del suo futuro.
Il Paese è sempre più vicino a un punto di rottura e questo punto di rottura si chiama Donald Trump, un leader politico a cui stanno strette le regole, scritte e non scritte, che hanno finora assicurato all’America il suo equilibrio costituzionale.
La sua netta vittoria nelle primarie repubblicane dello Iowa, che si concluderanno a luglio nel Wisconsin, rendono sempre più probabile che sia lui il candidato repubblicano alla Casa Bianca e sempre lui il nuovo Presidente degli Stati Uniti.
Il 6 gennaio di tre anni fa, consentendo ai suoi sostenitori di dare l’assalto al Congresso, Trump cercò di impedire la nomina del democratico Joe Biden alla Presidenza degli States, con l’accusa di brogli elettorali, accusa risultata poi infondata e 91 sono stati, negli ultimi tre anni, i procedimenti giudiziari a cui è stato sottoposto per comportamenti non in linea con gli obblighi di un Presidente.
La risposta che Trump ha dato a quello che da noi si sarebbe definito “accanimento giudiziario “è stata quella di “immunità assoluta “con la quale il tycoon ha fatto intendere a tutti che, se verrà nuovamente eletto, cercherà di annullare o sospendere il progetto di separazione dei poteri, dimenticando, però, che saranno in questo caso le maggioranze che emergeranno dalle elezioni nelle due Camere del Congresso, e non lui, a decidere della fattibilità dei suoi propositi.
Ma se Trump è un pericolo per la democrazia, come si spiega allora il sostegno crescente che riscuote tra i repubblicani, come dimostra la sua vittoria nello Iowa? E’ una crescita esponenziale, nonostante le inchieste avviate, le evidenze, le indagini, che non lasciano dubbi sui comportamenti anticostituzionali dell’ex presidente.
Per alcuni osservatori la sua popolarità rifletterebbe una certa tendenza, sempre più marcata, della società americana all’autoritarismo, per altri Trump sarebbe popolare perché gli elettori repubblicani distinguono nettamente la sua retorica incendiaria dal pragmatismo di molte sue scelte, condivisibili in pieno.
Tuttavia se è poco verosimile sostenere che l’America sia diventata negli ultimi tempi una società autoritaria, come lo è viceversa quella dei suoi rivali, Russia e Cina, che lo sono sempre state per ragioni storiche che ben conosciamo, è ancor meno verosimile sostenere che Trump sia un conservatore pragmatico, con sentimenti rivendicativi,come lo fu Nixon: molto probabilmente Trump trova terreno fertile tra i suoi elettori che temono i cambiamenti in corso, tecnologici e autoritari, perché la paura del futuro genera sempre la richiesta di un leader autoritario.
A ciò si aggiunga il vantaggio che sicuramente il tycoon può avere sul suo rivale Joe Biden, penalizzato dall’età avanzata, nonostante gli indiscutibili successi riportati dalla sua presidenza sia in politica interna che in quella internazionale: gli americani sanno, come scrive l’Economist, che nessun Presidente, con più di 80 anni di età, può esserlo per altri quattro anni, anche se Biden rincorre Trump nei sondaggi, almeno in cinque dei sei Stati che decideranno l’esito delle elezioni del prossimo 5 novembre.
Le prossime elezioni ci diranno se l’America continuerà ad essere il baluardo della democrazia, ad essere il Paese della libertà, dell’economia aperta o se, al contrario, la sua crisi iniziata nel lontano 2001, la porterà sulla strada delle democrazie illiberali e stataliste, anziché avviarsi a soluzione. La politica è un gran punto interrogativo e un sistema quindi difficile è separare una parte di essa dalle altre. Certo è che in quel 5 novembre prossimo, si decideranno le sorti del mondo.
Angela Casilli