Un docente universitario con sangue teramano nelle vene racconta un evento che ha sconvolto la vita e i programmi di tutti. “Così ho vissuto quei giorni”. La testimonianza di Astrid. di Tiziana Mattia* Mentre il vulcano dal nome impronunciabile tace per il momento in Islanda, Prima Pagina ha “scovato” un teramano-genovese
che vive da dodici anni nel paese dei ghiacciai e delle verdi distese. Impossibile non tentare una sorta di reportage tra Teramo e Akureyri, bella città nel nord del paese. In compagnia, dunque, di Giorgio Baruchello, professore alla Faculty of Humanities and Social Sciences University of Akureyri, e di Astrid Magnúsdóttir, islandese “doc”, responsabile della biblioteca nella stessa università.Anche se gli ultimi “rigurgiti” di cenere e vapore si vedono ancora, i nostri compagni di viaggio sperano – come tutti noi, del resto, che la montagna di ghiaccio e fuoco “si addormenti e non si risvegli nel prossimo futuro”. Eyjafjallajökull, con il suo improvviso “vomitare” sull’Europa, dopo quasi centonovant’anni, ci ha fatti incontrare. Tanto che l’Islanda ci appare più vicina. Quasi familiare. Soprattutto quando il prof. Baruchello rivela che, nato e cresciuto nel capoluogo ligure, ha “sangue abruzzese nelle vene”, poiché “gli avi del mio nonno materno, Severino Domenico Dolente – sottolinea – provenivano dalle campagne intorno a Teramo. In effetti, so per certo che la mia famiglia ha ancora dei contatti con i nostri lontani parenti in Abruzzo”. E se poi si inserisce Astrid che aggiunge di avere moltissime cose in comune con gli italiani, il cerchio si chiude. “Ricordo quando, alcuni anni fa, dopo un viaggio nel mio paese – racconta – un italiano disse che gli islandesi sono come la gente del sud d’Italia. Affettuosi, cordiali, passionali, molto legati alla famiglia. Al contrario di quanto pensava di noi islandesi, che riteneva freddi e chiusi in se stessi”. Insomma, danni ne ha fatti, indiscutibilmente, ‘sto vulcanaccio della malora”, ma ha aperto anche varchi insospettabili, tra montagne di cenere ed eruttazioni a distanza. Ma una scossa l’avrà pur data alla tranquilla vita degli abitanti di Akureyri (distante, peraltro, parecchi chilometri dal gigante di fuoco). “Fortunatamente, non ha intaccato il nostro quotidiano – risponde Astrid -. Ad eccezione del fatto che il traffico aereo è stato molto più intenso, quando i voli internazionali sono stati dirottati all’aeroporto della nostra città. Non è stato piacevole sentire continuamente il rumore dei grandi jet sulla testa. Quelli che hanno avuto problemi sono stati soprattutto gli agricoltori che abitano vicino al vulcano. L’eruzione ha sicuramente modificato il loro modo di vivere. Ha colpito i terreni, gli allevamenti di bestiame. Alcuni contadini hanno addirittura abbandonato le loro campagne, e molti pastori hanno dovuto trasferire il gregge in altre parti del Paese. Alcune scuole sono rimaste chiuse e i ragazzi non hanno potuto più giocare fuori, come d’abitudine in questo periodo dell’anno. Le persone hanno dovuto anche indossare maschere protettive. La cenere ha coperto quasi tutto, e molti volontari hanno soccorso i contadini e gli abitanti a togliere la cenere”. E subito dopo arriva un appunto ai nostri mezzi di comunicazione. “Le notizie qui in Islanda – sottolinea Astrid – sono state più realistiche, rispetto a quanto riportato dalla stampa italiana e internazionale. Che ha insistito sul fatto che noi islandesi vivessimo un reale pericolo e che fosse davvero molto rischioso venire nel nostro Paese. Non è vero del tutto. Molte persone hanno cancellato i viaggi programmati in Islanda e le prenotazioni negli hotel sono scese notevolmente rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Per questo la Iceland Travel Board ha aperto un sito internet, www.inspiredbyiceland.com, per informare il mondo che è sicuro venire in Islanda, e per combattere i negativi effetti che il vulcano ha prodotto all’industria turistica del nostro paese”. Gli islandesi, secondo Astrid, davanti a fatti naturali consueti per il loro territorio, come i terremoti o le eruzioni dei vulcani, non hanno paura. “Siamo un po’ fatalisti – spiega-. Soprattutto i contadini dei quali ho molto rispetto. Sono forti e umili, ma questo evento ha sicuramente reso la vita difficile a molti di loro. Per questo il governo sta stanziando degli aiuti, nonostante la crisi economica che attanaglia il paese dal 2008, dovuta allo sconquasso creato da tre banche privatizzate nel 2003”. Il prof. Baruchello, da docente di filosofia, ha idee ben precise sul concetto di “differenza” o “uguaglianza” tra popoli. “A parte il fatto che le necessità fondamentali delle persone sono identiche, dovunque uno vada, anche i loro desideri e i loro progetti di vita sono oramai simili, visto che l’organizzazione sociale e le strategie di mercato sono davvero globali. Certo, il caffé può essere corto o lungo, i cornetti quadrati o a triangolo, ma se uno gira per l’Europa, i vestiti, i locali alla moda, i film al cinema o le carriere professionali, solo per fare qualche esempio, sono sostanzialmente gli stessi. A differenziare davvero i paesi rimangono solo la lingua, gli edifici storici e qualche tradizione locale, difesa di solito per spirito identitario o perché piace tanto ai turisti. Se invece parliamo dell’Islanda come territorio e della sua natura, allora è davvero un mondo a parte. La vegetazione, i paesaggi, i colori del cielo, il clima, la sparuta fauna delle valli coperte di muschi e di radi cespugli…”. Ma “fatalista” è anche questo gevovese-teramano che aggiunge subito: “Abitando in Islanda ci si abitua velocemente ai vulcani e ai terremoti. Fanno parte tanto della storia del paese quanto della sua quotidianità. Ai miei amici dico talvolta che l’esistenza in Islanda è un ‘memento mori’ ininterrotto, il che aiuta a capire meglio perché valga la pena vivere. Immagino che qualcosa di analogo sia diffuso tra tanti nostri connazionali in Campania, all’ombra del Vesuvio” E sulle notizie catastrofiche che preannunciano già possibili cambiamenti climatici dopo quel lungo borbottìo dal nome impossibile, entrambi sono concordi. “No. Questa eruzione non è così massiccia. Certo, se ne seguissero a breve delle altre, di altri vulcani, allora qualcosa di più radicale potrebbe succedere. Per ora, a cambiare davvero il clima, ci pensano più le automobili che i vulcani!”