È scomparso lo scrittore Ismael Kadaré. Lo scrittore che raccontò le diaspore. Che andò via dall’Albania dopo aver aderito, inizialmente, al comunismo. Soprattutto nella poesia. Capì che la letteratura non può andare d’accordo con l’ideologia. Forse il più italiano e occidentale degli scrittori che avevano attraversato le epoche del terrore. I suoi libri raccontano la sua terra. Studioso tra l’altro di un testo magistrale su Dante. I suoi scritto hanno restituito personaggi e luoghi. Ma il suo Dante resta fondamentale.
Kadaré lo trasporta nella sua vita e lo vive come compagno di strada nel momento in cui anch’egli subisce il dramma dell’allontanamento dalla sua Albania. L’Albania diventa l’inferno per lo scrittore albanese così come Firenze per Dante. “Non è da escludere, tra altro, che Firenze fosse il cuore del suo inferno” dirà Kadaré pensando a Dante. Ma dov’è il punto di incontro? Esso alberga proprio nel saper leggere Dante non solo attraverso l’analisi della “Commedia”, ma nella tragedia che si trova nella scrittura apocalittica di un Dante che vive la contraddizione dell’esilio non prevedendolo. Eppure Dante è considerato un profeta.
Kadaré legge Dante come un anticipatore di Giorgio Castriota Scanderbeg, con una forte componente cristiana, quale tutore di un Occidente che comprende le eredità mediterranee e degli Orienti. Ma come fece egli a non prevedere l’esilio essendo uomo politico dalle forti capacità intuitive, proprio nello scontro tra Guelfi e Ghibellini? Invero la stessa domanda potrebbe porsi riguardo a Kadaré, il quale fu un forte assertore del comunismo prima e successivamente un eretico molto critico tanto che fu costretto a fuggire in Francia.
Riferendosi ai versi che Dante scrisse su Maometto, Kadaré ebbe a sottolineare: “Il divieto della scrittura che avrebbe accompagnato Dante fino ai Balcani è stato la barriera più sicura che potesse essere eretta contro di lui“. Dante oggi è amato nei Balcani e soprattutto in Albania. Uno dei maggiori studiosi albanesi di Dante resta chiaramente Ernest Koliqi; anch’egli subì l’esilio e visse a Roma dove morì. Non solo portò Dante in Albania con una forza spirituale impressionante, ma lo tradusse e lo commentò in diverse occasioni, percependolo in modo fortemente identitario. Egli ebbe a dire che per gli albanesi Dante fu sempre molto familiare anche sul piano linguistico: le analogie di Koliqi diventano così fondanti per la letteratura del nuovo Rinascimento albanese, ponendo il Sommo Poeta come anticipatore della metafora del viaggio tra Pound e Joyce, in un attraversamento che vede Eliot al centro. In una sola battuta, crea un arco che va da Dante alla modernità.
Kadaré lo configura come un greco che naviga il Mediterraneo considerando l’Albania stessa parte integrante dell’intero mediterraneo. Inserisce nel mosaico della grecità il confronto tra Seferis e Dante auspicando l’Itaca di Kavafis, che è terra della geografia e dello spirito. Ma anche Firenze è tale per Dante. La “Commedia” è il lungo viaggio per giungere ad un esilio della morte, della dissolvenza, della dura nostalgia. In Dante riporta Omero, Shakespeare, Eschilo. Kadaré ha la sua Beatrice nell’Albania che abbandona, allegoria del gioco letterario nel quale non c’è solo Ovidio, bensì la completa interazione tra la profezia della “Commedia” e l’abbandono della Patria.
Pierfranco Bruni