Bbona sére, ggènd’amiche,
Lu Segnore v’abbenediche.
Sant’Andònie de jennàre era un eremita nato in Egitto nel 251 e morto a 105 anni in un convento nei pressi del Mar Rosso, il 17 gennaio 356. Il Santo, come si legge nella sua biografia redatta da Atanasio, vescovo di Alessandria, contemporaneo dell’eremita e suo discepolo, considerava gli animali domestici creature del demonio che inducono in tentazione gli asceti. Noi lo conosciamo, invece, come protettore proprio degli animali domestici, probabilmente perché l’ordine questuante degli Antoniani sorto in Francia nel 1297, curava l’ergotismo cancrenoso, detto ignis sacer – nel Medioevo venivano indicate con questo nome l’infezione da virus dell’Herpes zoster e l’intossicazione dal fungo Claviceps purpurea – mediante il grasso di maiale misto ad alcune erbe. Questo favorì la nascita di una confraternita di religiosi, l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, che si assunse l’onere di curare tutti i malati con particolare attenzione a quelli affetti dal fuoco sacro. Così cominciarono a diffondersi santini che raffigurano sant’Antonio con un porcellino accanto, e con loro la devozione di Sant’Antonije de lu porche.
Lu varvùte (il barbuto), nella cultura popolare diventa un vecchio santo che sconfigge in male non con miracoli o grandi opere, ma prendendolo a mazzate; il Genio del Bene che vince in Genio del male raffigurato dalle tribolazioni della vita (malanni di uomini e animali, calunnie, rancori…).
Il maiale, gli animali e il beato porco
In alcuni comuni abruzzesi, si usava comprare un maialetto comunitario che si distingueva per un campanellino al collo o per l’orecchio sinistro reciso: il beato porco. Vagava liberamente per il paese come quelli degli antichi Agostiniani, dormendo dove gli pareva e piaceva, senza pericolo che qualcuno lo rubasse peccando gravemente. Dopo un anno veniva riffato e il prodotto della lotteria era speso per la festa del Santo: «per lo più, quella di giugno,» scrive Finamore, perché: «Tra s. Antonio del porco e s. Antonio del giglio, nella tradizione popolare, la differenza è tutta estrinseca. Il secondo è come un’avatar del primo. Sand’Andònije è nnate nen zacce quande vòte; è ppatrone de tridece cose; e ffa tridece grazìje lu juorne.»
Nelle fiere, quando il venditore consegnava un animale all’acquirente, lo benediceva in nome di S. Antonio. Se dimenticava di farlo, il compratore lo ammoniva.
La formula era:
– il venditore: Sand’Andonije t’abbenidiche.
– il compratore: E a signirì t’abbenidiche li quatrine.
Nel dì della festa, si ornavano gli animali con nastri e sonagli e portati davanti la chiesa del Santo per farli benedire. Durante la notte, S. Antonio passava per tutte le stalle ad accertarsi che gli animali erano trattati bene.
La questua
Sand’ Andonije magnéve le ‘sagne
Le magnéve nghi la fercince
Lu demonie mmalandrine
Ji frechese la fercine.
Sand’Andonije nin zi ‘ngagne
Nghi li mane magnéve le ‘sagne
Quando si pensa a Sant’Antonio Abate si pensa al suo maialetto, al demonio ma anche al canto che si porta per le case durante la notte a lui dedicata.
Solitamente il Santo era impersonato da una persona con barba di stoppa e vestita di camice bianco e mitra di carta con in mano una lunga mazza con un campanello legato sulla punta, attualmente è più facile incontrarlo vestito di saio francescano con il cappuccio. Gira insieme a cantori e suonatori tra le strade del paese. Nel corteo non mancano i romiti (eremiti) camuffati come S. Antonio, il diavolo tentatore in vesti femminili e il demonio dispettoso e vestito di rosso con corna e forcone, che segue il Santo e gli dà noie, ma non senza beccarci qualche bordonata. Durante il percorso, la comitiva si arricchisce di ragazzini e curiosi e sosta dinanzi gli usci delle case. Il Santo non canta, ma col bastone batte il ritmo e fa tintinnare il campanello.
Puozza fa’ tande mitre d’oije,
Pe’ quand’acque sta ‘la peschejje.
Puozza fa’ tande some de vine,
Pe’ quand’acque sta alla marine.
Esistono tante sfumature e varianti della rappresentazione, e tante modernizzazioni, come accade anche per le parole della canzone che si compone di tre parti. Nella prima si narrano i dispetti fatti dal diavolo al Santo, nella seconda si chiede il bene degli abitanti della casa davanti la quale si sta cantando e nell’ultima si chiedono tanti doni, ma anche solo poche cose, perché il cantore è stanco e ha tanto da camminare.
Se mme dj’ie nu para d’ove,
Ce le facce ‘na frettate.
Dammene une, dammene du’,
Dammene quande pare a vu’.
L’ aremétte a lu tuo duvére,
Dammene quande ne vuléte
Il padrone ripaga i questuanti con beni alimentari o un’offerta in soldi.
Fuoco
I caratteri pagani e rituali solstiziali si evidenziano nell’usanza di accendere fuochi anche nella notte di Sant’Antonio. Falò di S. Antonio, focarazzi, ceppi, torcioni, farchie, richiamano antichissimi riti solari.
Si accendono fuochi davanti alle case o nelle corti e piazze e, benedetto il fuoco, ciascuno, per devozione, porta a casa un tizzone.
I falò più noti legati al culto di Sant’Antonio, sono le farchie di Fara filliorum Petri, fasci di canne dal diametro di circa un metro ed alte 10 metri che ogni contrada del paese realizza. Nel pomeriggio del 16 gennaio, vengono portate davanti la chiesa dedicata al Santo e all’imbrunire incendiate con fuochi pirotecnici.
Nel 2024, in occasione del 25esimo anno giubilare, le 16 farchie sono state incendiate in località Colle Selva, dove avvenne il miracolo di Sant’Antonio Abate; come avvenuto nel 1999 e, prima ancora, nel 1974.
La leggenda sacra vuole che la tradizione prenda origine da un miracolo del Santo che incendiò un querceto per fermare dell’invasione francese del 1799.
Sempre di fuoco si parla riferendosi alle fastidiose conseguenze dell’Herpes Zoster chiamato lu fòche de sand’Andonije. E, metaforicamente, di chi dilapida un patrimonio si dice: te lu foche de sand’Andónije ‘ngolle.
Bbona sere a llor signore
Sand’Andonije sia co’ vuje
David Ferrante
Scrittore e sociologo, appassionato studioso e divulgatore della cultura popolare. Ha all’attivo diversi scritti d’impronta sociologica tra i quali due monografie pubblicate dalla Tabula fati e vari saggi all’interno di collettanee edite dalla Franco Angeli, dall’Università d’Annunzio di Chieti, ecc.
Tra i suoi lavori dedicati agli aspetti magici e leggendari della cultura popolare, oltre a diversi racconti, il saggio Tradizioni, riti e sortilegi del 24 giugno. San Giovanni Battista nella cultura popolare abruzzese (2018-2020). È ideatore e curatore delle antologie L’Ammidia. Storie di Streghe d’Abruzzo (2019), Fate, Pandafeche e Mazzamurelli. Storie di miti, superstizioni e leggende d’Abruzzo (2020) e Magare. Storie di Streghe d’Abruzzo v.2.
Nel 2022 esce la sua prima silloge personale Il dolore della luce. Racconti di streghe, fantasmi e d’amore in cui reale e irreale, amore e crudeltà cercano un punto d’incontro e di fusione.