MANTENIMENTO DEI FIGLI. Il quarto comma dell’art. 155 c.c. prevede che, fatti salvi gli accordi sottoscritti dai genitori,ciascun genitore provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice è tenuto a stabilire una somma da corrispondere solo se necessario, e la norma indicata individua anche cinque criteri guida per la determinazione di tale assegno. La norma, quindi, individua due forme di mantenimento, quello diretto e quello indiretto; nel mantenimento diretto ogni genitore provvedere direttamente al mantenimento della prole secondo le proprie capacità, senza alcune determinazione giudiziale dell’assegno; nel mantenimento indiretto, invece, il giudice fissa un assegno da corrispondere. Il mantenimento diretto è quello”preferito” dal legislatore, in quanto in linea con la legge 54/2006 e con i criteri ispiratori: il minore ha due genitori che, anche se non sono più coppia, restano genitori, con i quali il minore ha diritto ad intrattenere un rapporto continuativo ed equilibrato. Se i genitori riescono ad assolvere alla loro funzione, e sussiste anche il concorso di altre condizioni il mantenimento diretto deve e può essere prescelto. Se le condizioni oggettive non sussistono, il giudice interviene fissando l’importo di un assegno periodico, che solitamente è mensile. L’assegno di mantenimento, sino a quando il figlio è minore, viene percepito dall’altro genitore, mentre, quando il figlio diventa maggiorenne, il giudice può disporre che l’assegno sia versato direttamente al figlio maggiorenne non economicamente indipendente; tale possibilità è prevista dall’art. 155 quinquies. La legge, quindi, allo scopo di tutelare il figlio, equipara la situazione del minore alla situazione del figlio maggiorenne che non ha raggiunto la indipendenza economica; ma l’obbligo di mantenimento non è senza termine ma, per giurisprudenza costante (Cass. Civ. 24.9.2008, n. 24018, Tribunale Monza, 28.9.2010, Tribunale Cassino 12.1.2010 ed altre) cessa quando il genitore provi il raggiungimento della indipendenza economica, ovvero una condotta “colpevole” del figlio, che è inerte, inattivo nella ricerca di un lavoro, ovvero rifiuta senza giustificazioni una attività lavorativa. In maniera molto opportuna, il secondo comma dell’art. 155 quinquies c.c., equipara ai figli minori – rendendo loro applicabili tutte le norme dettate per i figli minori – anche i maggiorenni affetti da grave disabilità ai sensi della legge 104/1992. Auto ridurre l’assegno stabilito dal giudice è reato poiché, come si legge testualmente nella sentenza n. 5752/2011 della Suprema Corte: “Il corretto adempimento dell’obbligazione gravante sul genitore in favore dei minori consiste nella dazione (messa a disposizione del minore) dei mezzi di sussistenza, nella qualità e nel valore fissato dal giudice e comporta, di necessità ed agli effetti dell’applicazione dei disposti normativi dell’art. 570 cpv. c.p., n. 2, l’apprestamento solo ed esclusivamente di quel bene o di quel valore che il giudice della separazione o del divorzio ha ritenuto di determinare, nel dialettico confronto delle parti e nel superiore interesse del soggetto debole, oggetto di tutela privilegiata”. Non è, pertanto, consentito al soggetto tenuto al mantenimento dei figli l’autoriduzione dell’assegno disposto a favore di questi ultimi, salva la sua comprovata incapacità di far fronte al suddetto impegno. ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE. L’art. 155 quater c.c. tratta il tema dell’ assegnazione della casa familiare. Per la giurisprudenza il temine “casa familiare” è utilizzabile in due significati: casa intesa come bene immobile, individuabile fisicamente; casa familiare come luogo degli affetti, degli interessi e delle consuetudini (Cass. Civ., s.u., 23.4.82,n. 2494; Cass. Civ., s.u. 21.7.2004, n. 13603). In tale immobile, dopo la disgregazione della coppia, continuerà a vivere un nucleo composto dal/dai figlio/figli ed un genitore. L’assegnazione della casa familiare è strettamente connesso al secondo concetto e, quindi, non vi è ragione di attribuire l’abitazione al coniuge affidatario, qualora l’immobile non è più “casa familiare” in tale secondo significato,ovvero se i figlio sono maggiorenni ed autosufficienti, ovvero se vi è stato un allontanamento definitivo dal luogo in cui si condividevano affetti, consuetudini e interessi (Cass. 13.2.2006, n. 3030). La Giurisprudenza ha più volte chiarito come in tema di separazione personale dei coniugi, la disposizione dell’articolo 155, comma 4, c.c. è dettata nell’esclusivo interesse della prole minorenne, sicché essa non è applicabile, neppure in via di interpretazione estensiva, al coniuge non affidatario, ancorchè avente diritto al mantenimento; né a quest’ultimo l’abitazione nella casa familiare può essere assegnata in forza in forza dell’art.156 c.c., che non conferisce al giudice il potere di imporre al coniuge obbligato il mantenimento di adempiervi in forma diretta e non mediante prestazione pecuniaria. Il diritto a godere della casa familiare viene meno quando il genitore inizia una convivenza, oppure contrae matrimonio, oppure cessa di risiedere nella casa familiare (seconda parte art. 155 quater c.c.).