Le aziende chiuse “a terra” in Abruzzo nel 2012 sono 5130. Luigi Massi è proprietario di una imbarcazione da pesca – Il Faro- a Giulianova. Insieme ad altre cinque imbarcazioni, fa parte di quelle aziende “in mare”, di cui poco si parla, ma anch’esse in procinto di chiudere. Massi spiega: “Innanzi tutto Giulianova nasce come un porto peschereccio, ma negli ultimi anni
lo spazio è diminuito a favore dei pontili per le barche da diporto. Talvolta uscire per lavorare, specialmente se c’è vento è difficile e pericoloso. Il fondale è basso e lo spazio per fare manovra insufficiente. Le eliche possono finire sulla secca o urtare detriti, danneggiandosi per cifre che toccano i cinquantamila euro. Gestire un peschereccio costa caro, la nafta è arrivata a 0.81 centesimi al litro e per una sola giornata ci costa 1390 euro. Bisogna considerare poi i beni di consumo immediato necessari, come cibo, acqua, reti da pesca. Le reti in particolare si danneggiano facilemente a causa di intralci sul fondale, e acquistarne una nuova costa circa 7000 euro. Il pescato è nettamente diminuito. I fattori che influiscono oltre a quelli biologici, sono il divieto di pesca al tonno che ha causato un aumento di questa specie, che a sua volta divora tutti i pesci più piccoli. Sono presenti anche barche che usano il sistema della volante ( questa tecnica di pesca prevede il traino di un’unica rete da parte di due imbarcazioni). Le volanti pescano soprattutto pesce azzurro, distruggendo però tutte le altre specie minori che capitano nella loro rete. Gli esercizi commerciali che una volta si rifornivano da noi, ora preferiscono risparmiare e acquistare pesce di importazione o di allevamento. Anche dall’estero. Scioperare non serve, perché con la possibilità di comprare pesce surgelato, in ogni caso non otterremmo un aumento del consumo. All’interno del porto abbiamo il mercato ittico gestito dal Comune (il quale dichiara perdite di 200.000 euro). Ne abbiamo richiesto la gestione con la collaborazione di Lega Pesca, FederPesca, ma nessuno ha risposto. Al mercato ittico si vende tramite asta. Ne è rimasta solo una e il guadagno è pochissimo, viste le quantità ridotte che smerciamo a prezzi bassi. Non ci sono giovani che iniziano questo mestiere e gli uomini che abbiamo a bordo, che sono padri di famiglia, pensano di lasciare questo lavoro per qualcosa di più proficuo. Per legge dobbiamo garantire lo stipendio minimo, ma pagando ognuno di loro 1500 euro noi come viviamo? Non sappiamo cosa fare, non si vedono soluzioni all’orizzonte. Vorremmo più partecipazione della pubblica amministrazione e una regolamentazione delle importazioni per permetterci di lavorare con i nostri prodotti”. Anche Marco Vagnoni, responsabile del rifornimento di gasolio all’interno del porto, oltre che pescatore, interviene sull’argomento: “Io sono un po’ il ‘termometro’, e registro una crisi profonda. Per i pescatori sono io la banca. Mi ritrovo a dover fare crediti. Per pagare 15000 litri di gasolio, che servono per dieci giorni di pesca, servirebbero 12000 euro. Bisognerebbe quindi avere un introito di almeno 32000 euro al mese. Questo non succede più. Il prezzo del carburante supera il 50% delle spese. Il prezzo del pesce tocca i minimi di dieci anni fa. Tra poco il nostro porto sarà come quello di Pescara, adibito solo a diporto. L’unica pesca che ancora funziona è quella delle vongole”. Conclude Vagnoni: “C’è da far notare anche che tutte le imbarcazioni sono in vendita. Nessuno sceglie di tenersele, anche se si parla di milioni di euro di capitale. Nessuno però viene mai a chiedere per aquistarle. Il fermo pesca nei mesi estivi, in cui c’è maggior afflusso di persone e quindi si potrebbe vendere più pesce, ci rende la vita impossibile. Nei prossimi dieci anni prevediamo la fine della pesca a Giulianova. Resteranno probabilmente solo i privati che con una barca piccola pescano e vendono direttamente il pescato di piccole quantità”.