Un pomeriggio di festa che anticipa l’estate, una piazza piena di sole. Bambini che corrono, persone a passeggio in gruppi o a coppie, qualcuno già gusta gelati. Un corteo in costume cinquecentesco sfila nella via principale. Musica e voci diffuse da altoparlanti zittite all’improvviso da un maestoso scampanio che segna un’ora particolare. E’ il 2 giugno, a L’Aquila. L’Italia celebra la Repubblica,
gli aquilani qualcosa di più grande. L’amore per una città che ancora, dopo tre anni, porta i profondi segni delle ferite. L’Aquila ha subito un’oltraggiosa aggressione, il corpo ancora segnato e deturpato da cicatrici doloranti e aperte. Eppure viva, forte. Gli edifici del centro, inchiodati e trattenuti da puntelli, travi e chiodi cercano di impedirne ulteriori crolli, in attesa di una ricostruzione che ancora non si vede. Cesare Ianni e Gianluca Museo, del gruppo civico “Jemo ‘nnanzi”, raccontano la storia della battaglia di Bazzano: ” Il 2 giugno del 1424 vide la vittoria, sofferta, di una città stremata, delle truppe capitanate da Antonuccio Camponeschi, soldato di ventura, contro l’esercito di Fortebraccio da Montone. Come si legge nelle Croniche di Buccio di Ranallo, la vittoria segnò anche l’inizio dell’epoca d’oro cittadina in cui l’Aquila raggiunse il massimo del suo splendore. Cinquecento anni dopo, nel 1924, quella data venne degnamente ricordata con l’apposizione di una targa in pietra a capo di via delle Bone Novelle, che si chiama così perché da quella strada arrivò il nunzio ad avvisare il popolo aquilano della sconfitta di Braccio. La targa purtroppo è stata distrutta dal sisma e nonostante il recupero della maggior parte dei resti non è stato possibile restaurarla, e non sarebbe comunque potuta più tornare dov’era prima del sisma. Come cittadini e aquilani abbiamo allora deciso di fare una copia fedele all’originale, eseguita dallo scultore Marino Di Prospero, che utilizzando le stesse tecniche manuali usate nel 1924, ha creato un piccolo capolavoro. La targa è stata così donata alla nostra comunità che la custodirà in attesa di ricollocarla nella stessa sede che ospitava l’originale. Insieme ad altre associazioni, la Compagnia Rosso D’Aquila e il gruppo storico della Perdonanza Celestiniana abbiamo così voluto celebrare la ricorrenza, testimoniando che le sinergie tra Aquilani non sono solo auspicabili e necessarie, ma possibili e concrete”. Gli uomini e le donne dell’Aquila che dalle macerie recuperano ogni giorno, silenziosamente e caparbiamente le proprie radici, insegnandone i valori e i ricordi ai bambini perché non dimentichino ciò che c’era, sentono che “è doveroso contribuire alla ricostruzione e come cittadini ognuno può assumersi delle responsabilità invece di rimanere in attesa che qualcun altro decida. Comunque – incalza Cesare- il terremoto è un acceleratore di emozioni. Chi era positivo lo è diventato molto di più, perché la gente ha voglia di fare. Ha bisogno di poter credere e fare, anche cose semplici. Sono questi gli sproni a sopportare sacrifici, pur di coltivare la speranza per le giovani generazioni”. A distanza di tre anni si può affermare che l’emergenza è stata gestita in modo eccellente, come concordano i componenti del gruppo, e che tutti hanno avuto modo di lasciare tende e container, ma la ricostruzione è un altro capitolo ed è tutto da scrivere. La zona centrale e storica della città è completamente disabitata e secondo Cesare e Gianluca “ci vuole coraggio a passeggiare di notte in centro”, nessun cantiere, pochissime attività. Oggi un’altra tragedia devasta un’altra regione italiana. Gli aquilani sentono profondamente questo nuovo disastro, che ha colpito l’Emilia e che temono possa impoverire un’altra porzione d’Italia, vista la scarsità di risorse economiche a disposizione, ma tra i progetti del gruppo “Jemo ‘nnanzi” c’è anche un’iniziativa d’aiuto alle popolazioni emiliane.