Si parla tanto di esodati, cassa integrati, licenziati e disoccupati in genere, ma c’è una sotto categoria della quale nessuno sembra interessarsi. Si tratta di lavoratori – spesso donne oltre i trent’anni – che hanno lavorato per poco tempo con contratti a tempo determinato o atipico (co.co.co., stagionale, a nero) e che adesso, con la crisi, faticano a trovare una collocazione. Disoccupati invisibili che non hanno nessun aiuto dallo Stato:
né sussidi di disoccupazione (ordinaria o straordinaria) né la collocazione obbligatoria di cui usufruiscono i cassa integrati. Nicoletta, 36 anni, una laurea a pieni voti in lingue e letterature straniere, disoccupata da due anni e Laura, 38 anni, mamma di Matteo da tre anni raccontano la loro esperienza. «Da quando mi sono laureata – afferma Nicoletta – ho sempre lavorato, piccoli lavoretti,niente di che, ma mi sono sempre data da fare. Ultimamente però non riesco più a trovare niente. Sono già due anni che non lavoro e la cosa inizia a diventare pesante, sia economicamente, influendo non poco sulle finanze della mia famiglia che non è certo benestante, ma soprattutto direi psicologicamente. Non è facile andare avanti, sperare nel futuro, quando non fai che mandare curricula che puntualmente vengono ignorati dalle aziende. Allora ti chiedi cosa non va, ti fai domande e inizi a dubitare di te stessa, del tuo valore. Certo,razionalmente so di “valere”, ma queste continue porte in faccia minano la fiducia, ti fanno sentire inutile. Ultimamente poi ho perso anche la voglia di cercare un lavoro che tanto non c’è. E se c’è, se mi capita di trovare un’offerta, di avere tutti i requisiti richiesti, comunque non ti chiamano nemmeno per un colloquio. L’unica spiegazione che mi sono data è l’età. Anche se a trentasei anni si è ancora giovani, forse per le aziende non è così. È da un paio d’anni che ho notato questa indifferenza, e non credo sia un caso. Il fatto è che le aziende hanno paura che a quest’età tu possa decidere di avere un figlio. Come se fosse una colpa! Proprio durante l’ultimo colloquio, il titolare mi ha praticamente fatto un interrogatorio sul mio stato civile; mi ha chiesto se ero single, se intendevo sposarmi, se avevo figli, voleva sapere insomma se avessi degli “intralci” che mi impedissero di svolgere quel lavoro. Una cosa penosa!». «Anche per me è lo stesso – interviene Laura –. Quando mi presento a un colloquio e il selezionatore scopre che sono sposata e ho un figlio, apriti cielo! Tronca tutto e mi liquida con un “le faremo sapere”. E poi non chiamano più. Non è giusto: perché non posso lavorare se ho un figlio? È normale che se mi presento a un colloquio è perché posso organizzarmi con la mia famiglia, altrimenti non lo farei. Non capisco perché la maternità debba essere vista come un problema per le aziende. Si parla tanto di diritti, ma quello di essere madre pare non interessi più a nessuno ormai, è fuori moda». «Ma anche come lavoratrici – interviene Nicoletta – i nostri diritti vengono ignorati. Ho scoperto di avere diritto al tfr, all’indennità di malattia e alle ferie retribuite solo quando sono stata assunta per una settimana tramite un’agenzia interinale! Fino ad allora, quando il contratto terminava, non avevo diritto a niente, se non allo stipendio pattuito. Anche i contributi e la giornata di riposo sono un optional percerte aziende. Ho lavorato per tre stagioni in un albergo, e non ho avuto mai una giornata di riposo. Anzi, spesso mi capitava pure di restare oltre l’orario di lavoro, e a nessuno è mai venuto in mente che si trattasse di straordinario. Per non parlare di altri furbetti che per non pagarti i contributi ti inseriscono in ditta come stagista a quattrocento euro al mese, lavori otto ore come un’impiegata, ma con meno della metà dello stipendio!». «Anch’io – continua Laura – ho avuto esperienze simili prima di sposarmi, sempre lavoretti precari e sottopagati. Dopo la nascita di mio figlio mi sono voluta fermare per dedicarmi completamente a lui. Ora che Matteo è cresciuto però, mi piacerebbe trovarmi un impiego, possibilmente attinente alla mia laurea in lettere. Il mio sogno sarebbe fare l’insegnante, ma so che ho poche probabilità. Non ho l’abilitazione e non mi posso permettere l’iscrizione ai tirocini formativi. Per il momento mi arrangio nel panificio dei miei suoceri, ma sinceramente vorrei trovare la mia strada, la mia realizzazione personale. Non mi pare di chiedere troppo in fondo. Ho studiato tanto, penso sia anche un mio diritto dopotutto!».