Caro direttore, mi chiedi una opinione sui durissimi giudizi espressi dall’avv. Walter Mazzitti nel precedente numero di “PrimaPagina” in merito alle condizioni e alle prospettive di Teramo. Difficile non condividere gran parte delle tesi sostenute, ricordando uomini e fatti di questo ultimo ventennio. Dopo il tramonto della vecchia Dc (che qui, com’è noto, vantava forse la sua roccaforte più solida e importante), la città si è sviluppata ed è sicuramente cresciuta. Ma senza il supporto, purtroppo, di un livello culturale e qualità della vita adeguati. Tutto si è compiuto all’insegna dello spontaneismo e del giorno per giorno, spesso indice di un incamminarsi verso il caos e il declino. A cominciare dalle tre principali piazze storiche del centro cittadino: Piazza Martiri, Piazza Dante e Piazza Garibaldi, che ora fanno da “termometro” al clima che si respira e si vive in città. Grandi spazi snaturati negli anni, in funzione di un utilizzo sbagliato e complessivamente negativo. La prima, Piazza Martiri, è ormai una passerella permanente di eventi d’ogni tipo, stracolma di gente e frastuono, fino a perdere e cancellare i requisiti di quella che, ormai solo a tratti, torna ad essere una gran bella piazza. Più avanti c’è la “nuova” Piazza Dante, imbottita di auto sopra e sotto, con la costruzione di un assurdo parcheggio sotterraneo. Infine, nelle vicinanze, Piazza Garibaldi (forse la più saccheggiata e sfortunata fra le tre), dove promettono che verrà presto collocato un auditorium interrato (e proprio nel punto in cui il traffico urbano diventa più caoticamente insidioso). Così cresce la città, la nostra, seguendo un tracciato e un disegno difficilmente comprensibili, pensati non si sa da chi. Forse, estratti dai bussolotti del caso? Ma restiamo a Piazza Garibaldi, per chiedere (ammesso che qualcuno voglia rispondere): se doveva cambiare qualcosa, in quella piazza, non era preferibile realizzarvi una galleria sotterranea? Con due o tre obiettivi sicuramente raggiungibili: per dirottarvi tutto il traffico che ora scorre (si fa per dire) in superficie; per restituire lo spazio ai pedoni, ospitando attività ricreative e culturali in una preziosa zona-vetrina del centro-città. E l’auditorium? Avrebbe potuto trovare più facile, idonea collocazione (e respiro) in uno dei tanti edifici dismessi e abbandonati sparsi per Teramo (alcuni davvero meritevoli di urgente recupero e valorizzazione). Altro tasto dolente, quello di una città con tanti giovani laureati e zero prospettive di lavoro. Problema italiano, non solo locale. Per quanto ci riguarda, il peccato d’origine è che si vive in un capoluogo di provincia privo di una propria “vocazione”, necessaria per orientare e determinare crescita e sviluppo. Turismo, cultura, commercio? Che città è, la nostra? Abbiamo una connotazione e un marchio distintivi? Siamo stati bravi solo nel trascurare, non valorizzandole, alcune delle eccellenze che erano il tradizionale fiore all’occhiello del territorio. L’artigianato, per esempio (vedi alla voce rame, merletti, ferro battuto, ecc), ma persino la enogastronomia, che altre città in Abruzzo ora sanno proporre (e vendere) meglio di noi. Qui ci sarebbe da approfondire (e mi riservo di farlo in altra sede) lo scandalo dei soldi pubblici regalati a fiumi per corsi di formazione inutili e truffaldini. E c’è di più… Negli anni ’80, la nostra provincia era assurta a Eldorado della piccola e media industria italiana, grazie a un “miracolo economico” portato ad esempio nei rapporti Censis e negli studi degli economisti più autorevoli. Un fenomeno straordinario, che non ci è servito però per prevenire i colpi della crisi, causa la lentezza e i ritardi con cui abbiamo affrontato un mondo in cammino verso le nuove sfide della globalizzazione. Insomma, abbiamo dormito sugli allori, con i soliti notabili inamovibili e bravi a riscaldare le poltrone. L’ “università autonoma” ci è stata data, ma fin troppo staccata dalla città e dal mondo del lavoro, come se dovesse servire solo come fabbrica di neo-dottori disoccupati. Il tutto in un contesto civile e culturale carente di “dibattito e confronto”, cioè di contenuti e valori. Come non ammetterlo? Con i soliti pochi sapienti a decidere per tutti, anche quando erano in ballo scelte decisive e strategiche. Anzi, “il dibattito”, forse, non è mancato. Di chiacchiere se ne fanno a sufficienza, specie in una città di sordi. Ma a pontificare sono sempre i soliti, pensando all’unisono, e senza quei sani contributi decisionali che possono scaturire solo da un vero e libero confronto. La tendenza è di ignorare i “non allineati”, ghettizzando chi “non è dei nostri”. E se, fra questi, qualcuno osa una opinione dissenziente (come personalmente mi è capitato, per esempio, nei vari interventi sul Premio Teramo, Piazza Dante, Piazza Garibaldi, colline distrutte dal cemento intorno alla città, ecc.), scatta puntualmente un avvolgente silenzio tombale. Trattamento riservato all’avv. Mazzitti e a ogni maldestro molestatore dei soloni che, in città, esercitano i pieni poteri per…sbagliare da soli. Senza perdite di tempo in dibattiti e scambi di opinioni che non siano all’insegna del “detto fra noi”. Con i risultati che si vedono in giro, in un capoluogo in sostanza sciatto e decadente. Come quell’impressionante disco volante atterrato recentemente a Piazza Garibaldi vuol simbolicamente testimoniare. A futura memoria. Mazzitti analizza altri aspetti negativi: 1-dell’Università, al servizio delle cattedre e delle carriere, più che degli studenti e del merito; 2-del Ruzzo, carrozzone politico-clientelare per raccomandati e tariffe alle stelle per un’acqua dal sapore di cloro, che costa più del vino; 3-di una città che si va disgregando e senza possibilità di recupero. Un pessimismo che, concludendo, non vorrei condividere. Ma occorre una buona dose di residua fiducia per credere che le cose possano cambiare velocemente, in una città che ora esprime il massimo del potere politico qui e in Abruzzo. L’appello va a quanti hanno in mano le redini di governo – in assenza di una forte, salutare e determinata opposizione -, i quali dovrebbero imporsi di ripensare (e subito) il rapporto con la città e i cittadini, mediante una corretta meditata lettura della realtà che li circonda. Senza autocelebrazioni fuorvianti e alla luce, per capirci, di una politica rinnovata e del buongoverno. Vuol dire affidarsi ai miracoli? Forse sì, ma se c’è chi conosce una strada migliore, si faccia subito avanti per indicarla a tutti noi sfiduciati e non.