Sono gli imprenditori il nuovo proletariato”. Con questa frase il sociologo del lavoro, Domenico De Masi commenta la difficile situazione economica in cui versano soprattutto le piccole imprese, strozzate da una crisi che ha trovato nella stretta creditizia la sua espressione peggiore. “Nell’era della globalizzazione -spiega- da soli non ci si salva, e bisogna sapere chi sono le controparti, che oggi magari stanno in India o in Cina, e chi i veri alleati da cercare. Altrimenti, l’esito è la disperazione e la violenza, contro gli altri o contro se stessi. L’economia ha mangiato la politica, la finanza sta mangiando l’economia e le agenzie di rating stanno mangiando la finanza. È una sequenza di prevaricazione, una lotta tra carnefici e le banche, e soprattutto i banchieri, non fanno beneficenza”. Secondo De Masi è necessario un cambiamento di prospettive, culturale, che riporti equilibrio tra mercati, lavoro, economia, produttività. Riguardo a quest’ultima il concetto stesso va stravolto: “Produttività oggi significa produrre il più possibile a prescindere dalla qualità. Ma noi non abbiamo bisogno di più oggetti ( i supermercati sono pieni di oggetti che rimangono non consumati). Abbiamo molto più di quanto possiamo arrivare a consumare. La nostra crescita è avvenuta a scapito di economie povere. Dove deve andare a finire questa crescita e perché? (i rapporti di reddito sono: Italia 37.000 dollari pro- capite, Cina 3.000 dollari procapite). Cresciamo a scapito di altri rapinando le economie povere che oggi non sono più disposte a farsi rapinare. Siamo già eccessivamente cresciuti –continua il sociologo -. Ora dovremmo decrescere perché la crescita non è l’unica soluzione, ma un mito criminale che ci fa assistere ad un aumento costante della forbice tra ricchi e poveri. Si pensi che Olivetti guadagnava 5 volte più di un operaio, mentre oggi Marchionne guadagna 1170 volte di più. Gli unici paesi dove la forbice tra ricchi e poveri sta diminuendo sono la Cina e il Brasile. Bisognerebbe quindi produrre solo ciò che serve, non il superfluo. Pensare a cambiamenti radicali, riconvertire ciò che non può più essere salvato”. Quando si parla di cambiamenti e riconversioni non si può eludere l’argomento lavoro, perché in questi casi le due parole sono spesso preludio di licenziamenti, chiusure, esuberi. De Masi si sofferma sul concetto di “alleanza imprenditoredipendente contro la dittatura isterica, mostruosa, fortissima e avida dei mercati. L’abbattimento dei muri costruiti con mattoni di diffidenza, disprezzo e invidia per costruire realtà fondate su cooperazione dialogo, solidarietà e trasparenza. Sembrerebbe un’utopia – continua – ma se dobbiamo sognare, meglio farlo in grande”. Il discorso scivola inevitabilmente sulla riforma del lavoro, sull’allungamento dell’età pensionabile e sulle misure per l’occupazione giovanile. “Il lavoro cresce poco, mentre i lavoratori crescono di più – spiega -. La tecnologia erode il lavoro, quello di tipo intellettuale ora è il 70%, ma è facilmente sostituibile. Solo per fare un esempio, le agenzie di stampa sostituiscono i giornalisti, così come l’ iPad farà fuori tutti i giornalai, poi i tipografi . Cosa significa? Che aumenta il tempo libero, ma allo stesso tempo siamo al paradosso di iperoccupati e disoccupati totali. Più si allunga l’età della pensione, meno opportunità avranno i giovani di entrare nel mondo del lavoro. Bisognerebbe dividere il lavoro in modo equo. Lavorare, magari, fin quando si vuole (per alcune categorie, anche non smettere mai), ma di meno. Meno ore spalmate su un periodo più lungo, altrimenti i giovani non lavoreranno mai.