Qui c’è il rischio che torneremo tutti a pascolare le pecore”. Lo ha detto un noto imprenditore e non so se è una minaccia o una promessa. Speriamo prevalga l’ultima ipotesi, visto come stanno le cose. L’economia abruzzese arranca e perde colpi, come del resto quella nazionale, con le aziende che chiudono e nessuno investe più nel Bel Paese. Persino la Fiat ci sta pensando e vorrebbe girare
pagina. Speriamo di no. In Abruzzo stessa musica. Negli anni ’90 eravamo saliti all’apice. Ai primi posti fra le regioni del Mezzogiorno. Vicini alle aree più progredite del Nord. Per gli esperti di economia eravamo la “locomotiva del Sud”, che marciava ad alta velocità verso la crescita e lo sviluppo. Teramo era indicata come la capitale della piccola e media industria, al centro di una rete diffusa che produceva ricchezza e posti di lavoro. La Val Vibrata era la punta di diamante di un miracolo “made in Abruzzo”. Tanto che, con ammirazione, gli esperti di economia la indicavano come la “Valle dell’Eden”, dove tutto procedeva per il meglio. Anzi, i problemi non mancavano, ma erano quelli di un territorio che stava crescendo troppo e doveva prepararsi al futuro. Ma come? Esaurito il primo tempo della corsa vittoriosa, c’era da girare pagina e prepararsi al passaggio successivo. C’era da fare, per capirci, un salto culturale. Gli artigiani e gl’imprenditori di prima generazione dovevano prepararsi ad affrontare le sfide della globalizzazione e dei grandi mercati con una politica industriale
nuova e innovativa. Il potere politico, a sua volta, avrebbe dovuto affi ancare i manager di ultima generazione, creando infrastrutture e strumenti finanziari per sostenere il grande salto. Per lunghi anni, fra un convegno e l’altro, abbiamo saputo dormire solo sugli allori, pensando forse che il miracolo “made in Abruzzo” potesse durare all’infi nito. Né ci siamo dati da fare per affrontare le sfide
sempre più incombenti e la crisi è entrata lentamente nelle viscere della nostra economia. Locale e nazionale. Fino a saldarsi con la recessione e la crisi su vasta scala, per non dire mondiale, di questi ultimi anni, che stanno spazzando un apparato produttivo e industriale debole e inadeguato. Né sappiamo come se ne possa uscire. Tanto che, fra gli addetti ai lavori, c’è chi paventa un ritorno ai pascoli sulle alture abruzzesi. Che dire? Prendiamola come un augurio, per risalire, visto che si precipita. E nessuno sa come fermare la folle corsa verso il basso.