Le immagini del bimbo di Padova prelevato da agenti della polizia in esecuzione di una ordinanza del Tribunale dei minori di Venezia sono senza dubbio molto forti, e non è possibile non provare un forte senso di dolore e disagio nel vedere un minore afferrato da adulti mentre si dimena, grida e chiede aiuto. Però il filmato dovrebbe essere osservato (con occhio critico) non solo nel primo minuto, ma dopo, quando la “regista” insulta, offende, minaccia, urla contro gli agenti di polizia, e quando la stessa chiede all’ispettore di Polizia “se la sospensione è stata rifiutata, e come è stata rifiutata, è stata rigettata o e stata dichiarata inammissibile”, dimostrando peculiari conoscenze processuali della vicenda. E’ necessario, dunque, analizzare la vicenda in termini giuridici, perché -ricordiamo quelle immagini sono relative alla esecuzione di un provvedimento di un Tribunale dei minori e non si è trattato, quindi, di un atto arbitrario ed illegittimo della polizia. La vicenda del bimbo di Padova nasce dalla separazione dei genitori e dall’affidamento del minore alla madre la quale (secondo quanto riportato dai mass media) ostacola i rapporti del figlio con il padre; quest’ultimo si rivolge al Tribunale per i minorenni, che dispone l’allontanamento del minore dalla madre e il suo collocamento in una comunità di accoglienza, in quanto il minore risulterebbe soffrire della sindrome di alienazione parentale (l’acronimo inglese è PAS, Parental Alienation Syndrome) disturbo psicologico che si manifesta quando un genitore pone in atto comportamenti tesi a denigrare e screditare la figura dell’altro genitore, ed escluderlo dalla vita del figlio. Tutto, quindi, nasce dalla separazione dei genitori. I principi ispiratori della Legge 54/06 (relativa all’affidamento dei figli) evidenziano chiaramente come, da un lato, il fallimento di due persone come coppia non deve comportare il loro fallimento come genitori, e come, da altro lato, sia interesse del minore mantenere un rapporto continuativo ed equilibrato con entrambi i genitori, e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascuno. La conseguenza pratica della applicazione di questi principi è questa: non è più necessario individuare, dopo la separazione, il genitore più idoneo alla cura dei minori, ma entrambi devono interessarsi dell’aspetto fisico, psicologico ed educativo della prole. Nel caso di specie è evidente che, al fallimento della coppia, si è aggiunto anche il fallimento dei genitori, che non sono stati in grado di “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo” con il minore, che ha diritto, nonostante la separazione “di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi” i genitori (art. 155 cc). Da fonti giornalistiche si apprende che una ordinanza del Tribunale dei Minorenni, pronunciata alcuni mesi prima, disponeva l’allontanamento del piccolo dalla madre (a causa della presenza della patologia della PAS, accertata dal un consulente del Tribunale) e, per almeno quattro volte, la polizia avrebbe tentato di eseguire l’ordine del Tribunale, senza riuscirvi. L’episodio del prelievo forzoso a scuola rappresenta, quindi, solo l’esecuzione di una ordinanza della autorità giudiziaria che non è stata volontariamente eseguita dalla madre. Il corretto atteggiamento di fronte ad un provvedimento giudiziario che impone un allontanamento del minore da una figura genitoriale è permettere l’esecuzione dello stesso in modo da evitare qualsiasi trauma al minore e poi, eventualmente, il genitore che si ritiene danneggiato da quel provvedimento, ovvero che lo ritiene non conforme agli interessi del figlio, ben potrà e dovrà impugnarlo per ottenerne la revoca o la modifica. Nel caso di specie ciò non è accaduto. La mamma ha ostacolato l’esecuzione del provvedimento del Tribunale per i Minorennie la Polizia ha dovuto dare esecuzione coatta, mediante l’uso di forza fisica. Una riflessione, di carattere prettamente giuridico, si impone: i provvedimenti giudiziari sono caratterizzati dalla loro esecutività, nel senso che, in carenza di un rispetto spontaneo dello stesso da parte del destinatario, è possibile la loro esecuzione a mezzo della forza pubblica. L’ordinanza del Tribunale dei minorenni è provvedimento giudiziario e, poiché non è stato eseguito spontaneamente dalla madre, è stato necessario procedere in via esecutiva con la Polizia. Sempre dal punto di vista giuridico (lasciando ad altri quello sociale e/o psicologico) altra riflessione si impone: l’esecuzione di quel singolo provvedimento (che tanto eco ha avuto solo grazie ai mass media) si inserisce in una lite tra ex coniugi che, incapaci di gestire il ruolo genitoriale, si rivolgono al Tribunale. L’autorità giudiziaria, nella sua funzione di “supplenza” alle carenze genitoriali, altro non può fare che adottare provvedimenti coercitivi che hanno una loro logica interna e devono essere eseguiti, salva la possibilità di impugnarli nei modi di legge. La sovra esposizione mediatica di un singolo episodio non deve farci dimenticare la logica di tutto il sistema giudiziario e delle sue procedure e, inoltre, non deve farci dimenticare che, a fronte di un singolo caso portato agli “onori della cronaca” ve ne sono tantissimi altri che, senza clamore, sono comunque fonte di dolore per igenitori e per i figli e che, sempre senza clamore, alcune volte trovano la miglior soluzione grazie al rispetto delle decisioni giudiziarie e all’azione congiunta dei genitori e dei loro avvocati, anche con l’opportuno ausilio psicologico. Nel caso di specieè evidente che, al fallimento della coppia, si è aggiunto anche il fallimento dei genitori, che non sono stati in grado di “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo” con il minore…