Marie Jelinkova,io ti ricordo”, e ricordo con te tutte il milione circa di persone morte nei campidi concentramento di Auschwitz e Birkenau. Ti ho scelto perché fra tutti i volti nelle foto segnaletiche, tu sorridevi, sorridevi con la consapevolezza di quello a cui andavi incontro, sorrideva il tuo sguardo con cui mi piace
pensare che facessi da sostegno alle altre tue compagne, e affrontavi l’atroce realtà che nel 1942 si mostrava davanti a te. Ti ho scelto e tu mi hai accompagnato mostrandomi quella che era la vita nel campo, i luoghi, le attività e l’ambiente. Ho ripercorso la strada che ogni giorno era la tua in tre giorni in cui, per un fortuito caso del destino, il sole non c’è mai stato e il freddo era diverso, penetrante, e in quel luogo particolarmente forte da entrare fin nelle ossa. La giornata di visita ai campi, in partenza, si prospettava strana. È come se qualcosa si stesse concretizzando e la paura iniziale era forte; mi domandavo che impressione mi avrebbe mai potuto fare essere in quei luoghi, a cosa avrei pensato, se, per una specie di protezione personale, avrei visto ma non osservato. La mia speciale compagna di viaggio è stata in tasca, sempre con me, sia durante la visita al museo di Auschwitz, sia durante il percorso a Birkenau nel pomeriggio. La visita mattutina posso dire che, inizialmente, ha tranquillizzato molto le mie paure. Certo, vedere la famosa scritta-beffa “Il lavoro rende liberi” e visitare quello che oggi è diventato un museo ha avuto un effetto distensivo. Probabilmente proprio il fatto che quei luoghi siano stati trasformati, cambiati e un po’spersonalizzati non mi ha dato la sensazione di cui avevo più paura: rendersi conto della disumana lucidità dell’uomo. La sensazione è, però, scomparsa il pomeriggio, nel campo di Birkenau. Attraverso la visita in luoghi rimasti tali tutto è cambiato, tutto si è trasformato e mi è sembrato di essere stata catapultata in un attimo negli anni ’30-’40, proprio come cercano di raccontarli i libri di storia. Il percorso del Sonderkommando, i laghetti con le ceneri, gli alberi, l’immensità dello spazio, i letti, le baracche, i binari, l’esatta collocazione dei luoghi, la metodicità e la scrupolosità del progetto. Ed è al centro di questo secondo campo che posso dire di aver profondamente capito lo spirito del viaggio che avevo affrontato: restituire il nome a tutte quelle persone che per anni sono state dei numeri, degli oggetti di cui i nazisti hanno potuto disporre liberamente. Il ritorno dal centro del campo all’autobus è stato un percorso in solitaria. Il mio percorso di ritorno particolare. Analizzavo in maniera quasi metodica, il sentiero di terriccio fangoso, le buche, i rigagnoli, per poi lanciare uno sguardo al cono di luce del lampione. “Chissà quanta gente ha approfittato delle zone d’ombra che si creano per correre da un amico, per trovare conforto, per la speranza di rivedere qualcuno dall’altra parte del filo spinato” e ancora: “Fa freddo. Ma con la neve per terra che cosa avrà significato per loro con solo un vestito sudicio di lana? Quale forza disumana possono aver avuto queste persone rinchiuse qui dentro?”. Questi sentimenti si sono concretizzati ancora più forte il giorno seguente con la visita al Ghetto ebraico di Cracovia con la fabbrica di S hinder. Mai e poi mai avrei pensato di rivedere davanti a me le scene di film e documentari e immaginare come la vita potesse essere difficile, o meglio, come quella potesse essere vita. Raccontare l’esperienza vissuta con il ‘Treno della memoria’ in brevissimo può, in apparenza, sembrare molto semplice e appare quasi subito ovvio il fatto che quei luoghi colpiscano negativamente l’animo e i sentimenti di un qualsiasi individuo. Viverla è un’altra cosa. L’associazione ‘Terra del fuoco’ organizza questo evento ogni anno e più volte l’anno con l’intento di far comprendere ai ragazzini delle scuole (anche ai più piccoli) le atrocità commesse nel periodo della seconda guerra mondiale e far sì che, preservandone la memoria, questi fatti non si ripetano più. Stavolta, per la prima volta si è tentata una collaborazione con lo Spi-Cgil, l’Udu e la Rete degli studenti medi. Mettere insieme ragazzi, giovani e adulti (alcuni dei quali hanno vissuto esperienze tragicamente legate a questi avvenimenti) e vivere insieme questi luoghi offre alla mente una maggiore possibilità di riflessione per i diversi punti di vista che si esprimono ma, allo stesso tempo, fa comprendere quanto ricordare possa essere la cosa più significativa ed utile affinché quanto compiuto non riaccada.