FEMMINICIDIO: si definisce femminicidio l’uccisione di una donna in quanto donna ad opera di un uomo in quanto uomo. Questa la definizione di un neologismo coniato per definire una situazione che ha visto nell’ultimo anno e solo in Italia
più di 130 casi di donne uccise da uomini che condividevano la loro vita. Padri, mariti, compagni, ex. Una strage. In un sito dedicato e curato da Emanuela Valente sono raccolte le immagini di tutte queste donne e le loro storie. Tutte diverse, per età, condizione, locazione geografica. Le accomuna un’unica motivazione, o meglio, come è scritto nel sito, la fine delle loro storie e delle loro vite: sono state uccise “in quanto donne” e i loro assassini tutti uomini. Uomini che le consideravano di “loro proprietà” e quindi non libere di scegliere. Di “femminicidi” la storia dell’umanità è piena,e se non si può parlare di aumento o diminuzione del fenomeno, sicuramente è cambiata la percezione, la tolleranza, i sentimenti comuni che oggi, nel 2013 non ci permettono più di accettare e circoscrivere l’orrore in una semplice casistica di genere. Né di trovare moventi che ne giustifi chino o spieghino i perché. Uomini e donne sono persone, diverse biologicamente, certo, ma appartenenti allo stesso genere. “La scelta di definirli semplicemente “Donne” e “Uomini” deriva dalla volontà di emanciparli dal loro ruolo mediatico di “vittime” e “carnefi ci” – si legge nel sito – dove con la defi nizione “Donne” e “Uomini” non si intende “l’intero genere umano maschile” e “l’intero genere umano femminile”, ma solo i protagonisti degli episodi narrati. Perché è’ arrivato il momento di trovare soluzioni ad un problema specifico che ha le sue radici in una cultura che riguarda sia uomini che donne e dove entrambi hanno un percorso da compiere, impegni da assumere e consapevolezze da acquisire, come persone e come collettività” . Una consapevolezza che ha portato un miliardo di donne, in tutto il mondo a danzare nelle piazze delle città, al suono della stessa musica e con gli stessi movimenti. I cosiddetti flash mob organizzati da tante associazioni che cercano di contrastare il fenomeno innanzi tutto dal punto di vista culturale: “Un miliardo di donne violate è un’atrocità, un miliardo di donne che ballano è una rivoluzione” citava lo slogan della manifestazione che si è tenuta anche a Teramo, il 14 febbraio scorso, in piazza Martiri. Perché Teramo non è quell’isola felice che qualche politico locale continua ( ancora) ad ostentare come “modello” di virtù. Teramo racconta di ragazze, giovanissime, aggredite e stuprate dopo una serata in discoteca e di servizi sociali sempre meno presenti per mancanza di risorse. Un centro antiviolenza che rischia di chiudere per aver ignorato un bando per l’assegnazione di fondi , un pronto soccorso che langue insieme ad interi reparti o di malati oncologici che fanno lo sciopero della fame per avere un medico in più che scongiuri la chiusura del day hospital. Teramo racconta e vive anche queste realtà, lontane dall’essere un “modello” da esibire. Stiamo vivendo momenti di grande trasformazione sociale, dalla politica, all’economia, alla cultura. Possiamo fare in modo che i cambiamenti siano evolutivi, ripensando i valori, i diritti, i doveri e le priorità. Perché la società, la politica, la cultura è fatta da uomini e donne, in quanto persone.