Quando si parla di investire il proprio denaro spesso gli italiani hanno la tendenza a preferire il caro vecchio titolo di stato, a forme nuove o magari più complesse di investimento, forti di un retaggio ereditato dalle generazioni che hanno sempre visto nei BOT e nei BTP la propria
cassaforte di famiglia. Non a caso nel mondo gli italiani sono tuttora indicati come “BOT people”. Negli ultimi anni però tante certezze che prima rassicuravano il risparmiatore medio italiano sono venute a mancare per via dei vari crack Cirio, Parmalat, Lehman Brothers e i più recenti casi Irlanda e Grecia, solo per citarne alcuni, fino all’ultimo, partito dalla piccola isola di Cipro. A ciò si aggiunge una nuova normativa di riferimento relativa proprio ai nostri tanto amati titoli di stato (e non solo, dal momento che la medesima disposizione è stata ratificata anche in altri paesi europei). Stiamo parlando delle cosiddette CACs, ovvero delle Clausole di Azione Collettiva, introdotte con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze il 7 dicembre scorso, alle quali saranno soggetti tutti i titoli di nuova emissione a partire dal 1 gennaio 2013 e per durate superiori a un anno. Tali clausole, introdotte a seguito dell’istituzione del Meccanismo Europeo di Stabilità (il cosiddetto scudo anti-spread), prevedono che l’emittente dei titoli, cioè lo stato italiano, possa modificare alcune clausole relative a una serie di titoli, previo consenso dei sottoscrittori (il voto favorevole dei possessori di almeno il 75% dei titoli in caso di assemblea, oppure una risoluzione scritta firmata dai possessori di almeno i 2/3 dell’ammontare dei titoli). Lo stato infatti potrebbe avvalersi di tali clausole in caso di forte difficoltà finanziaria, come accaduto, ad esempio, in Grecia, Irlanda o Cipro. Tra l’altro è opportuno sottolineare che tra le modifiche che possono essere apportate figurano anche il prezzo di rimborso, la data di scadenza oppure il rendimento dei titoli stessi. E’ bene sottolineare inoltre che l’utilizzo di tali clausole probabilmente porterebbe un peggioramento delle condizioni inizialmente previste per il risparmiatore, dal momento che lo stato si avvarrebbe di tali clausole solo in caso di forte difficoltà, mirando all’ottenimento di uno “sconto” sul prezzo di rimborso. Curioso come tale novità, decisamente impattante per tutti i nuovi sottoscrittori di titoli di stato, sia stata poco pubblicizzata dai vari media (fatta eccezione per le testate specializzate). Sarebbe opportuno a questo punto che tutti gli operatori finanziari, banche e poste, diano un’informativa completa agli aspiranti sottoscrittori così da permettere al proprio cliente di poter decidere in base anche a tali nuove disposizioni. Probabilmente il risparmiatore potrebbe considerare l’investimento in titoli di stato ancora molto sicuro e magari lucrare su rendimenti attesi più elevati, oppure dirigere la propria attenzione, anche con l’aiuto di un consulente, verso un portafoglio maggiormente diversificato e più in linea con quelle che sono le reali esigenze. Ad ogni modo quest’ultima nota di incertezza, in mezzo ad un concerto di dubbio ed insicurezza, ha fatto emergere prepotentemente un vecchio adagio molto di moda negli ambienti finanziari che recita: “nessun investimento è esente da rischi”, per buona pace di tutti i BOT people.