Quando si pensa all’Arte, intesa con la A maiuscola, le prime immagini che si creano nella nostra mente sono quelle relative ai grandi centri artistici, a capolavori indiscussi e largamente proposti: esiste però un’arte ‘diversa’, strettamente territoriale che, pur non comparabile per quantità e qualità con
quella ‘ufficiale’, costituisce un affascinante tassello del patrimonio artistico locale. La straordinarietà dei monumenti che circondano il nostro territorio sta nel fatto che essi ci raccontano la storia del vissuto e della quotidianità di un popolo e il santuario della Scala Santa di Campli costituisce solo uno dei tanti esempi di questo irripetibile mosaico. Il significato e le antiche origini del culto della Scala Santa sono da collegare alla storia della Chiesa dei secoli IV e V, quando la madre dell’imperatore Costantino, Elena, durante un viaggio a Gerusalemme nel 326, trovò sul monte Calvario il legno ritenuto della croce di Cristo. La leggenda narra che la regina portò una parte della croce a Roma insieme a numerose reliquie della Passione, tra le quali i ventotto gradini della Scala Santa, collocandoli nel palazzo della famiglia dei Laterani. La Scala Santa di Roma è indubbiamente il caso artistico più celebre ma, sul territorio nazionale, se ne riscontrano altri esempi: quella camplese fu edificata grazie all’interessamento di Giampalma Palma, priore della Confraternita delle Sacre Stimmate di San Francesco, in un secolo, il Settecento, fortemente negativo per le sorti di Campli. Non esistono esplicite testimonianze sull’effettiva costruzione del santuario, ma è possibile supporre che sia avvenuta tra il 21 gennaio 1772, data dell’assenso papale da parte di Clemente XIV, e il 1776, anno della benedizione del santuario e della sua apertura al pubblico. La Scala Santa di Campli fa parte del complesso della chiesa intitolata alla Madonna dei Sette Dolori, meglio conosciuta come chiesa di San Paolo, anticamente sede della confraternita delle Stimmate di San Francesco. Il santuario si presenta con una struttura architettonica poco appariscente costituita da un rivestimento ‘povero’, in pietra, per giunta non levigata, rispettando appieno gli intenti religiosi e culturali dell’ordine francescano che rifuggiva da architetture lussuose e ridondanti. Anche l’interno rispecchia una certa sobrietà: non si percepiscono sfarzo e ostentazione ma lo spazio è raccolto al fine di favorire la preghiera e la contemplazione. Il santuario della Scala Santa si compone di tre zone d’interesse: due scalinate e la cappella del Sancta Sanctorum, visibile attraverso una grata di ferro, luogo più intimo dell’intero santuario, contenente preziose reliquie. La scala principale è in legno, costituita da ventotto gradini da salire penitenzialmente in ginocchio così da acquisire il beneficio dell’indulgenza plenaria, tra immagini della Passione di Cristo; la seconda, invece, è da scendere in piedi tra rappresentazioni festanti di Resurrezione. La lettura delle immagini permetteva anche a chi, in passato, fosse stato analfabeta, di comprenderne subito il significato. Sulla scalinata di salita sono collocate sei grandi tele, tre per ogni lato, nelle quali vengono raffigurati alcuni momenti salienti della Passione di Cristo e, rispettivamente, sulla destra è possibile ammirare “Cristo nell’orto degli ulivi”, “La flagellazione” e “Cristo che porta la croce”; sulla sinistra “La cattura”, “Ecce homo”, e la “Crocifissione”. La particolarità dei dipinti sta nel fatto che le tele hanno tutte una forma insolita, sono quasi trapezoidali e, durante l’ultimo restauro avvenuto dal 1992 al 1995, sono emerse anche diversità materica e preparazione di fondo: per due opere in particolare, poi, – “Cristo che porta la croce” e la “Crocifissione” – sono dipinte anche le fasce di fissaggio al telaio e questo spiegherebbe, sempre se fosse dimostrato, che le tele sono state adattate al santuario della Scala Santa di Campli, tagliandole e portandole alla forma trapezoidale. Esistono, dunque, due problematiche legate alla loro piena comprensione; una riguarda la datazione, visto che nessuna delle opere riporta riferimenti temporali espliciti, l’altra di attribuzione, non essendo presente nessuna firma. Si ritiene che le prime quattro tele possano essere attribuite all’opera di Vincenzo Baldati, un artista teramano, che lavora e firma il suo operato nel santuario all’interno della cappella del Sancta Sanctorum con data 1781. Certamente attribuibili al giovane pittore sono la decorazione del soffitto ligneo con angioletti recanti simboli della Passione e canestri di fiori, le figure, a grandezza quasi reale, di Papa Clemente XIV e della regina Elena, la Pietà e le raffigurazioni nella scalinata di discesa con quattro medaglioni in monocromo blu.