Dilettantismo vero o professionismo mascherato? Questa la domanda ricorrente, da qualche anno a questa parte, negli ambienti calcistici regionali. Società che spendono e spandono per allestire squadre il più possibile competitive; calciatori che, arrivando da categorie superiori, pretendono di essere adeguatamente monetizzati, hanno creato una situazione esplosiva. Impensabile parlare ancora di rimborsi spese, alla luce soprattutto delle cifre impressionanti che sorreggono il calcio dilettantistico abruzzese ma non solo. “Ci sono aspetti del calcio di Eccellenza e Promozione – spiega il presidente regionale della FIGC, Daniele Ortolano – che non vanno bene. Si spende tanto, a volte troppo, per allestire squadre forti, in grado di vincere i campionati. Ciò dipende dalla caduta di società blasonate, ma anche dal comportamento dei calciatori che hanno approfittato di questa situazione. Bisogna puntare di più sui giovani – prosegue Ortolano – c’è chi è in grado di farlo e chi, non avendo tempo né risorse, ricorre ai ragazzi di fuori regione, con un aggravio ulteriore dei costi”. Tra i club di Eccellenza i pareri sull’argomento sono abbastanza concordi. “I costi sono lievitati enormemente negli ultimi anni – dice il presidente del San Nicolò Salvatore Di Giovanni – Molto dipende dagli obiettivi di ogni sodalizio. Chi punta a vincere investe parecchio. Ed è anche normale che i giocatori chiedano adeguati rimborsi spese, considerando che ci si raduna a fine luglio, si svolge la preparazione ad agosto e ci si allena 5-6 volte a settimana. Sta a noi presidenti calmierare la situazione, puntando più sui giovani, anche se così si rischia di costruire squadre non competitive e retrocedere. Nel nostro caso cerchiamo sempre di mantenere un equilibrio, allestendo buone squadre senza spendere tantissimo”. “Per abbattere i costi – propone Vittorio Beccaceci, presidente del Mosciano – si dovrebbe introdurre un obbligo di studio o di lavoro per i calciatori, in modo che questa per loro non sia più la professione principale. A questi livelli il calcio dovrebbe rappresentare soprattutto uno strumento di aggregazione sociale. Per quanto ci riguarda paghiamo solo rimborsi spese. Servirebbe poi il coinvolgimento di più imprenditori, per dare continuità sul medio-lungo periodo”. “Anche a Montesilvano – afferma il presidente adriatico Enzo Di Meo – si parla solo di rimborsi spese, anzi la parola stipendio è abolita dal nostro vocabolario. Noi cerchiamo di organizzarci al meglio, ma con un budget che non supera i 160 mila euro all’anno. Sarebbe importante che i calciatori non pensassero solo ai soldi, ma imparassero a condividere un progetto”. Scendendo in Promozione, gli animi si surriscaldano. “L’abbattimento dei costi è un problema fittizio – attacca il direttore generale della Valle del Gran Sasso, Luciano Di Marco – se contemporaneamente si parla di professionalizzare i campionati. Una stagione non può durare da agosto a maggio. Per un torneo di Promozione si spendono non meno di 200 mila euro, 10 mila per comprare un giocatore. Si deve ridurre il numero delle squadre. Ed è ora di finirla – insiste Di Marco – con le società che in estate promettono mari e monti, e a dicembre sono indietro di 3 stipendi. Anche la presenza dei procuratori incide molto, tanto che una buona metà dei fuori quota arriva da fuori regione”. “Inserire nelle nostre categorie società professionistiche fallite ha portato grandi disagi – il parere di Pasqualino De Patre, segretario del Castelnuovo Vomano – Sarebbe stato meglio inserirle nel CND. Bisogna poi imporre l’uso dei fuoriquota, per invogliare i ragazzi allo sport. Infine è necessario far rispettare il decreto legge per il quale le ASD non possono avere un bilancio superiore ai 250 mila euro. Questi però sono problemi che devono essere affrontati dal presidente Ortolano, piuttosto che dalle singole società”. Della serie: ad ognuno i propri compiti. Ma sarà poi vero così? Ai nostri lettori l’ardua sentenza…