Alla ricerca della lingua perfetta
Nel 1993 Umberto Eco ha pubblicato un volume di notevole valore culturale e scientifico-linguistico dal titolo: “La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea”. L’opera fa parte della collana “Fare l’Europa”, diretta da Jacques Le Goff, e tratta dell’utopia che il testo rappresenta da Adamo fino al XX secolo,
soffermandosi particolarmente sul Medioevo. La disamina naturalmente porta alla conclusione che non esiste una lingua perfetta. Allora, quale lingua parliamo noi oggi? Sicuramente parliamo la lingua madre appresa in famiglia, successivamente arricchita con le relazioni interpersonali e, infine, tecnicamente strutturata a scuola e rinsaldata da letture e comunicazione proprie. La lingua si evolve con il tempo e raffigura, per dirla con Wittgenstein, tutta la realtà. Essa ubbidisce a un codice che non è artificioso o convenzionale, ma, come vuole Chomsky, dipende esclusivamente da una facoltà tipica del cervello umano e che non appartiene ad altri animali. In tale facoltà è insita una struttura sintattica che genera costruzioni grammaticali. Ogni lingua ha una sua dimensione storica che determina la propria grammatica, diversa da quella universale che è comune a tutte le lingue. La grammatica storica può essere appresa, mentre quella universale e/o mentale è innata, cioè, è data da quel meccanismo che rende possibile l’apprendimento del linguaggio. L’uso corretto del linguaggio si manifesta sia nel parlato sia nella comprensione di un testo scritto (messaggio). L’acquisizione dipende molto dall’esposizione alla lingua parlata in un determinato ambiente e/o periodo storico. Considerati il villaggio globale e la trasmissione del messaggio in tempo reale, oggi, si rende quanto mai opportuna la padronanza degli strumenti di espressione e di comprensione del linguaggio, i quali, se usati in modo corretto, facilitano la stessa comunicazione, anzi ne sono la condizione. In questi giorni i mezzi d’informazione hanno riportato i risultati dell’indagine PIAAC (Programme for the International sessment of Adult Competencies), svolta nei paesi OCSE e altri, tra gli adulti dai 16 ai 65 anni.
Sorpresa? Nessuna: l’Italia risulta all’ultimo posto per le competenze alfabetiche (al penultimo per quelle matematiche). Di chi è la colpa? Anzitutto della scuola che dovrebbe essere la prima agenzia d’istruzione e di formazione dei cittadini, poi dei singoli che in cultura proprio non spendono. Sicuramente, dopo un periodo in cui la scuola mostrava segni di ripresa, le ultime riforme l’hanno completamente distrutta, mentre i tagli effettuati dalla politica (“Con la cultura non si mangia”) le hanno dato il colpo di grazia. Chi ha provocato questo sfascio meriterebbe il castigo eterno.
Facebook è lo specchio di questa situazione: si veda, ad es., come scrivono alcuni laureati! A chi scrive è capitato di correggere alcune tesi di laurea, ebbene qualcuna è apparsa come campionario da “Io speriamo che me la cavo”! Ecco i risultati: il trionfo assoluto dell’ignoranza.
C’è un rimedio a questo degrado? Certamente, basterebbero più serietà a scuola e maggiore predisposizione alla lettura di buoni libri da parte di tutti. Solo così Maurizio Dardano potrebbe togliere definitivamente dal titolo di un suo datato testo una “S” in più, il quale passerebbe da “Sparliamo Italiano?” a “Parliamo Italiano?”.
Umberto Eco non ci indicherà mai la lingua perfetta, ma quella che rende perfettibili gli uomini sì, come insegna pure papa Francesco.
di Michele Ciliberti