C’era una volta la famiglia allargata, polinucleare, nella quale convivevano generazioni diverse, esperienze e risorse differenti. La famiglia era, allora, una vera e propria societa’ nella societa’, un frammento autosufficiente, capace di proteggere e tutelare la dimensione privata dell’individuo,
promuovendone le facoltà e le aspirazioni esogene. La famiglia, in tale contesto, esplicava certamente il ruolo di ammortizzatore sociale primario, di clearing house affettivo, relazionale ed economico. Prima l’industrializzazione, poi la globalizzazione hanno ridisegnato i tratti sistemici delle famiglie, oggi intese come sistemi nucleari, il cui numero di componenti medi raramente supera le tre unità. Una famiglia diversa, più fl essibile, sia nel tempo, sia nello spazio che, se da una parte ha incrementato le sue potenzialita’ di penetrazione del tessuto sociale, dall’altra ha indebolito la sua capacità di risposta ai bisogni primari e propri: l’assistenza di persone anziane o diversamente abili, l’educazione e l’accudimento degli infanti, la stabilità generale quale agenzia di socializzazione primaria. Il fenomeno del badantato e’ paradigmatico degli avvenuti cambiamenti sociali e culturali. Fino ad alcuni decenni fa, era impensabile che un familiare delegasse a terzi l’assistenza di un proprio caro, tanto più di un anziano, un genitore, un padre, una madre. Tale possibilità avrebbe pure potuto suscitare la disapprovazione del gruppo famiglia, delle reti amicali, del gruppo di vicinato. Perché ? Perché dedicarsi ad una familiare in stato di disagio e bisogno, rappresentava – nell’ambito di un’ipotetica scala di utilità ed etica individuale – una priorità indifferibile. La famiglia e gli individui, nel corso degli anni, hanno sempre più somatizzato le mete extrarelazionali, appannaggio dei condivisi obiettivi di sistema (lavoro, denaro, carriera, realizzazione, ecc), il cui costo sociale si è spostato dall’asse familiare a quello collettivo. Forse, è proprio per questo, seppure in ritardo rispetto ad altri Paesi, che l’Italia ha concretizzato una legge quadro sull’assistenza solo nel 2000, con la legge 328. Da quella data, in tutto il territorio nazionale, anche nei comprensori più angusti, è attiva una rete di welfare, nel cui contesto i servizi di assistenza domiciliare a soggetti anziani e disabili rappresentano livelli essenziali di assistenza sociale. Il badantato, nell’accezione più tecnica del termine, in realtà e’ un complemento dei servizi di welfare. La sua diffusione è certamente legata ai mutamenti di composizione demografi ca delle famiglie, ma anche indotta dalla crescente disponibilità di soggetti disponibili al suo assolvimento. La crescente domanda proveniente dalle badanti è in buona parte riconducibile al fenomeno migratorio, in piccola parte anche alla profonda crisi del tessuto produttivo nazionale, i cui espulsi – non di rado – provano a riallocarsi nel settore dell’assistenza. E’ necessario, comunque, asserire che né i processi di ridimensionamento del welfare, né l’incrementale disponibilità di badantato potranno soppiantare le funzioni primitive delle unità familiari. Così come è opportuno ricordare che dal fenomeno del badantato – talvolta – possono scaturire effetti rebound , che producono ulteriori carichi sociali per la collettività. Non a caso, le istituzioni territoriali sovraordinate (regioni e province), di recente hanno avviato una serie di percorsi progettuali volti ad offrire una qualificazione professionale minima, ma necessaria a chi si appresta a svolgere un lavoro così delicato, oltre che finalizzati a far emergere le numerose condizioni di lavoro sommerso.
Gianni DI GIACOMANTONIO (SOCIOLOGO)