Due volte, ogni anno mi occupo di tenere a dei gruppi di “promessi sposi” delle lezioni circa gli aspetti giuridici del matrimonio: nel corso di tali incontri spesso emerge la preoccupazione di tutelare il patrimonio della famiglia, in considerazione anche della futura presenza di figli.
Uno strumento giuridico idoneo a tal fine è il fondo patrimoniale, vale a dire un insieme di beni (immobili, mobili registrati o titoli di credito) destinati a soddisfare i bisogni della famiglia; deve essere costituito da uno o entrambi i coniugi tramite atto pubblico, oppure da un terzo tramite testamento;
può essere costituito anche durante il matrimonio. L’atto notarile di costituzione del fondo patrimoniale deve essere iscritto nell’atto di matrimonio e, di conseguenza, questo strumento non può essere utilizzato dalle coppie di fatto (che, comunque, hanno anche altri strumenti giuridici per tutelare il loro patrimonio). I beni inclusi nel fondo sono di proprietà di entrambi i coniugi, e la loro amministrazione è regolata dalle norme sulla comunione legale. Per quanto riguarda la vendita dei beni del fondo -salvo se diversamente previsto nell’atto costitutivo- essa può avvenire solo con il consenso di entrambi i coniugi e, in presenza di figli minori, anche con l’autorizzazione del Giudice Tutelare. La tutela del patrimonio familiare avviene in questo modo: i beni appartenenti al fondo (e i relativi frutti) non possono essere sottoposti ad esecuzione, cioè pignorati, se non per debiti contratti per i bisogni della famiglia; in altri termini i beni del fondo sono pignorabili solo in relazione a debiti contratti per i bisogni della famiglia. Se il debito è sorto per soddisfare una esigenza estranea ai bisogni della famiglia (per esempio i debiti derivanti dalla propria attività commerciale o da azioni risarcitorie) i beni del fondo patrimoniale non possono essere pignorati: definire il concetto di “bisogni della famiglia” è quindi fondamentale, poiché a tale concetto si lega il “beneficio” della impossibilità di aggredire i beni del fondo. Per la giurisprudenza i bisogni della famiglia non devono essere intesi in senso restrittivo, ossia in relazione alla necessità essenziali del nucleo familiare, ma anche con riguardo alle più ampie esigenze dirette al pieno mantenimento e all’armonico sviluppo della famiglia, nonchè al potenziamento delle sue capacità lavorative, con esclusione delle sole esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi (ved. Cass. Civ. 11683/2001; Tribunale Salerno, 30/9/2008; Tribunale Monza, 11/6/2007). L’accertamento, nel caso concreto, della riconducibilità del debito alle necessità della famiglia è un apprezzamento rimesso al giudice che, quindi, dovrà valutare caso per caso se il debito è stato contratto per un bisogno della famiglia ovvero no. Poiché l’istituto potrebbe essere utilizzato anche a danno dei creditori (per sottrarre loro beni utilmente pignorabili) è possibile chiedere la revocatoria dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale, entro cinque anni dalla sua costituzione, se si dimostra in giudizio che la creazione del fondo è avvenuta solo per frodare i creditori; ad esempio è stata revocata la costituzione di un fondo patrimoniale effettuata da due coniugi dopo aver contratto con una banca dei debiti che, naturalmente, non erano stati regolarmente pagati (ved. Tribunale Milano, 6.3.2013). Il fondo patrimoniale cessa per legge in caso di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio; in caso di presenza di figli minori il fondo dura sino alla maggiore età dell’ultimo figlio.
edizione Marzo 2014 – Avv. Gianfranco PUCA