Le imprese stanno affrontando oggi un momento, forse, mai vissuto in passato soprattutto a causa della pressante crisi economico-finanziaria che attanaglia il nostro Paese da oltre cinque anni. Ecco il verificarsi di due situazioni concomitanti che possono mettere in difficoltà proprio quelle aziende che vivono in condizione di “normale staticità”.
Le cause che precedono la crisi d’impresa possono infatti essere sia interne che esterne. Ad esempio tra le cause interne latenti possiamo citare una non pronta risposta da parte dell’impresa ai cambiamenti del mercato, errori nella scelta dei segmenti da servire, carenze nella parte distributiva, sistemi di controllo di gestione inesistenti o inadeguati, inerzia organizzativa e carenze innovative, costi troppo elevati, management non efficiente, non corretta gestione del capitale, sovradimensionamento della capacità produttiva… e così via. Tra le cause esterne vi sono la concorrenza, uno spostamento della competizione sui prezzi, cambi di gusto del mercato, oscillazioni nel costo delle materie prime e quindi, non ultima, grave recessione in atto sul mercato di vendita. Nella maggior parte dei casi le cause esterne, come la recessione in atto, incidono in maniera significativa in quanto già presenti scompensi all’interno dell’impresa. Spariscono così le economie di scala e si verifica inevitabilmente un innalzamento dei costi unitari sui prodotti o servizi. I prezzi di vendita cominciano così a non essere più remunerativi e quando si comincia a percepire la gravità di tale condizione il più delle volte è troppo tardi, si è già entrati nell’ultima fase, quella finanziaria, la più critica. L’azienda comincia ad avere carenza di liquidità e da questo stato si passa poi piuttosto velocemente a ritardi o mancati approvvigionamenti delle materie prime, quindi ritardi nelle consegne o carichi non completi. Tutte le imprese hanno un loro ciclo di vita. Quando esse, nascono è forte da parte dell’imprenditore la propensione al commercio, c’è sensibilità verso i gusti del consumatore, si recepiscono tutti i consigli utili, si ha l’umiltà di accettare gli errori e si è disposti a rimettersi in discussione. Si lavora molto, spesso a discapito delle retribuzioni ai dipendenti. In questa fase gioca un ruolo fondamentale anche l’aspetto emotivo, dato che i collaboratori si sentono “braccio destro” del titolare e sentendosi coinvolti in prima persona, partecipano attivamente agli sviluppi aziendali. Nella successiva fase di crescita, quando i fatturati cominciano ad impennarsi, le attenzioni sono molto più focalizzate sui sistemi operativi di sviluppo. Ci si preoccupa dell’efficienza tecnica e si iniziano a trascurare i fattori strategici di successo che hanno portato l’impresa alla crescita. La fase di crescita termina quando le vendite e l’apparato organizzativo cominciano a stabilizzarsi: questo significa che si è passati alla fase di maturità. In questa delicata fase intervengono solitamente diversi fattori che tendono a portare l’azienda in uno stato d’inerzia, dato che l’entusiasmo della fase iniziale è diminuito: si vive una certa tranquillità nelle attività quotidiane, la continua spinta al miglioramento rallenta, i processi sono consolidati, i fattori strategici di successo perdono di importanza e l’attenzione viene spostata sull’operato delle maestranze, dato che è si passati necessariamente alle deleghe nel sistema organizzativo. L’organigramma diventa il punto di riferimento, a discapito della gestione “ovvia” per processi e l’azienda comincia a burocratizzarsi Strategicamente parlando, sarebbe questo il momento giusto in cui impostare un necessario processo di turnaround (lett. Inversione di rotta). Le soluzioni da mettere in atto sono estremamente lineari ma non sempre semplici da attuare.
PrimaPagina edizione APRILE 2014 – di Luciano Cipolletti