E’ stata una scelta politica in un preciso contesto storico, mentre il suo mantenimento e sopravvivenza sono stati affidati invece a tecnicismi di convergenza sempre più automatici, in accordo con la BCE,
estraniando gli stessi poteri politici nazionali dalla gestione che avrebbe potuto correggere le immancabili verifiche del tempo, con la conseguenza di aver esposto le popolazioni a sempre maggiori disagi. E’ emerso sempre più chiaramente che il disegno di dotare di una stessa moneta uno stesso mercato, secondo l’assioma “one market, one money”, si è rivelato essere solamente un accordo valutario di cambi fissi, dove nulla è stato fatto per supportare realmente questa scelta. L’euro doveva essere lo stimolo iniziale per il complemento finale di una effettiva integrazione politica e non il mezzo per poterla raggiungere. Alla prova dei fatti si è plasmato una sorta di OGM (Organismo Geneticamente Modifi cato), concepito in qualche laboratorio ubicato a Francoforte, ideale solo per fungere da volano alle operazioni finanziarie e non certo per svolgere la funzione di supporto all’economia reale delle imprese e delle famiglie. Nulla è stato fatto affinché si mutuassero le diverse esigenze determinate dalle differenze delle economie e strutture nazionali e dopo 22 anni di Maastricht, Bruxelles non è riuscita neanche ad uniformare aliquote IVA uguali per stessi beni merceologici e servizi; come possiamo credere che ci sia una vera volontà di rapide unioni se neanche il gradino più basso, necessario per la libera circolazione dei beni e servizi, non è stato mai costruito? Nella pratica non esiste nell’ambito dei Paesi membri un effettivo mercato comune e non perché non si è realizzata la prima conditio nell’ottimizzare i due principali fattori produttivi indispensabili capitale e lavoro, ma perché le regole a supporto della moneta unica sono state esclusivamente utilizzate come mezzo coercitivo per estraniare sempre più i paesi dalle loro residue Sovranità. A chi fanno riferimento e a chi rispondono coloro i quali hanno avocato a se questi poteri? Sono stati previsti sempre più “piloti automatici” che si sono surrogati alla mediazione politica, interrompendo il contributo essenziale dei cittadini nei processi decisionali, come ad esempio nel caso del Patto di Stabilità e Crescita, il c.d. Fiscal Compact, approvato sebbene in palese contrasto con i precedenti Trattati. Infatti come recita lo stesso Trattato sulla Stabilità all’art.2, “Le parti contraenti applicano e interpretano il presente Trattato conformemente ai Trattati su cui si fonda l’Unione Europea”, il cui concetto è ribadito nel comma successivo: “Il presente Trattato si applica nella misura in cui è compatibile con i Trattati su si fonda l’Unione europea e con il diritto dell’Unione europea”. Pertanto il seguente art.3, n.1, lett.a) che prevede che “la posizione di bilancio della Pubblica Amministrazione di una parte contraente è in pareggio o in avanzo” è da ritenersi non conforme e non legittimo, in quanto il Trattato della UE fi rmato a Maastricht (TUE) all’art.104 c) prot.5, ribadito anche nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea di Lisbona (TFUE) all’art.126 (ex 104), fissano invece al 3% il limite dell’indebitamento annuale. E’ stato pertanto violato il Trattato istitutivo della UE unitamente al TFUE che ne ribadisce al citato art.126 i limiti dell’indebitamento. E’ possibile che nessun giurista a disposizione di Bruxelles si sia accorto prima delle interpretazioni rigorosamente giuridiche del nostro prof. Giuseppe Guarino che ha denunciato questo palese contrasto? Si è imposto d’inserire nei dettami Costituzionali dei paesi dell’Unione il vincolo del pareggio di bilancio, per mezzo di un Trattato illegittimo e fortemente stridente con altri articoli e fondamenti delle varie Carte Costituzionali nazionali. Anche l’applicazione ferrea del limite del 3% del rapporto fra defi cit e PIL, pena sanzioni, è un arbitrio non supportato dai Trattati. Sempre nell’art.104 del TUE, ora art.126 del TFUE, stabilisce che il 3% può legittimamente essere superato se discende da fatto eccezionale e momentaneo, quindi non imputabile allo Stato, ma dovuto ad un obbligo al quale lo Stato non poteva sottrarsi. Quale circostanza eccezionale, valida per tutti gli Stati membri, più della depressione defl attiva a cui siamo stati condannati? Dei 204 paesi che compongono il Pianeta Terra, solo 17 adottano questo modello economico! Non a caso l’accentuazione della recessione è stata resa possibile proprio perché si è voluto affidare il mantenimento della costruzione dell’area valutaria comune, all’utilizzo di un modello economico che non ha riscontri nella stessa letteratura economica. Esso prevede essenzialmente il rigore dei conti per mezzo del raggiungimento del pareggio di bilancio e la riduzione pianifi cata e sistematica dell’eccedenza dello stock del debito pubblico, rispetto al parametro del 60%, come presupposto per la crescita. Questo modello, applicato in periodo di conclamata recessione, ha immancabilmente prodotto deflazione, ulteriormente degenerata, in quanto gli Stati membri non sono potuti intervenire autonomamente con specifici piani di politica economica tarati secondo le proprie esigenze, costretti solamente ad inseguire e rispettare parametri aleatori e regole automatiche senza supporti scientifici e validità giuridica. Vale la pena ricordare come la cosiddetta Troika, responsabile di questa conduzione economica, si sia basata anche sul noto studio “Growth in a time of debt” di Reinhard e Rogoff sui livelli d’insostenibilità dei debiti pubblici, rivelatosi inattendibile a posteriori per banali errori nel foglio di calcolo Excel, individuati grazie a uno studente ventunenne in economia. Per non parlare dei grossolani errori compiuti dal FMI, poi pubblicamente ammessi, nella determinazione del c.d. moltiplicatore fi scale per inesattezze nei calcoli delle formule econometriche. Anche in questo caso i Governi nazionali, ormai esautorati da qualsiasi potere decisionale nella propria politica economica adottata, non sono potuti intervenire neanche di fronte all’evidenza.
PrimaPagina edizione Maggio 2014 – di Antonio Maria Rinaldi