Il termine femminicidio, che è un neologismo per la lingua italiana, era già in uso in Inghilterra nel 1801 (femicide) con il significato
di “uccisione di una donna”, senza ulteriori specificazioni. Nel nostro Paese invece questo vocabolo si riferisce a quei casi in cui la femmina soccombe fino alla morte per mano di un maschio con il quale ha avuto o ha, al momento dell’uccisione, una relazione sentimentale o parentale. A mio avviso, in Italia, si dà del fenomeno indicato da tale termine un’interpretazione limitata e settoriale poiché non si considera, a tutto tondo, la complessità delle cause che concorrono alla soppressione della vita delle donne. L’antropologa messicana Marcela Lagarde scrive nel 1997: “Il femminicidio diventa realizzabile per mezzo di norme coercitive, politiche di sfruttamento e modi alienanti di condurre la convivenza, situazioni che, insieme, costituiscono l’oppressione di genere, e la loro realizzazione radicale porta all’eliminazione simbolica e concreta delle donne e al controllo di ciò che le riguarda. Il femminicidio (…) richiede una complicità che accetti vari principi concatenati: l’interpretazione del danno subito dalle donne come se non fosse tale, il tergiversare su cause e motivazioni a ciò correlate e a negarne le conseguenze. Tutto questo viene attuato per far sì che la dannosa violenza contro le donne sfugga alle sanzioni etiche, giuridiche e giudiziarie il ché implica un’ulteriore forma di violenza (…) e lasciare le donne prive della libertà di agire e di opporsi con la parola e senza mezzi per annientare tale violenza.” Nel femminicidio dunque è implicita la coesistenza di molti fattori, di matrice violenta, tesi all’eliminazione fisica e psichica delle donne e ciò dimostra, a mio avviso, che non di un neologismo si dovrebbe parlare nel considerare questo termine, ma di un modus operandi tipico del maschio nei confronti della femmina risalente agli inizi dell’epopea umana, il cui reale significato risulta, perciò, fin troppo obsoleto. Nel dizionario DevotoOli alla voce femminicidio si legge: “Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte.” Dunque anche l’infanticidio ai danni della neonatalità femminile, rientra nello sterminio di genere. Questa pratica in uso da sempre, e ancora presente nelle zone di maggior densità demografica del mondo, nasce in ossequio al fatto che le donne sarebbero di peso alla società maschile poiché considerate minori, incapaci, rispetto ai maschi, di esercitare un qualunque mestiere che non sia quello di madre e moglie. Resta inteso, tra l’altro, che un tempo per le femmine, ancorché sottomesse a tutte le esigenze del consorte, dal soddisfacimento dei suoi desideri sessuali, alla cura della casa e all’accudimento dei figli, trovar marito non era cosa facile; la bellezza e una dote consistente potevano agevolare la
collocazione di chi apparteneva al genere minore, da qui l’idea dell’eliminazione delle femmine come rimedio per riequilibrare la forza lavoro nella società.
E’ difficile fare una comparazione tra l’incidenza delle uccisioni di donne nel passato, – tenendo anche conto di fenomeni transitori come fu quello della Caccia alle Streghe -, e il numero di donne uccise oggi, tuttavia salta agli occhi quale sia la ragione per cui, pur tenendo conto del considerevole mutamento della struttura sociale e delle sue regole, non vi è soluzione di continuità nel bisogno che il maschio dimostra nel voler eliminare fisicamente le femmine.
Un tempo esse rappresentavano un peso per la loro presunta inutilità, oggi rappresentano per il maschio la figura da sconfiggere, da superare, da sottomettere proprio sul piano delle capacità tout court, della loro perizia nel mondo del lavoro, dell’autonomia
personale, dell’iniziativa tipica di chi non ha bisogno dell’alter ego maschile per vivere e autogovernarsi. Sigmund Freud soleva dire che “Per la Donna l’anatomia è destino”. Noi sappiamo che anche il padre della psicoanalisi aveva preso un bell’abbaglio e ciò è dimostrato proprio dall’accanimento nel volerci ancora eliminare, pur nel tempo della nostra riscossa.
Primapagina edizione Giugno 2014 – di Milena Milone psicologa