A parole, non sembrano esservi pregiudizi contro le donne in politica. Nei fatti non è così. Cresciute con stereotipi culturali e modelli maschili in certi ruoli, faticano a liberarsene. Una situazione riconducibile a un retaggio storico-culturale che sembra legittimare lo sbilanciamento nella distribuzione del potere tra uomini e donne. In quasi tutti i Paesi dove esistono democrazie a suffragio universale, il numero delle elettrici supera quello degli elettori.
Teoricamente, dunque, se le donne votassero per le donne l’equilibrio della rappresentanza sarebbe assicurato.
Invece, pressoché in ogni elezione – che si tratti di elezioni politiche, regionali, provinciali e comunali, fino al presidente dell’assemblea condominiale – la maggioranza delle donne sceglie di far confluire i propri suffragi su un uomo, cui riconoscono capacità e attitudini nell’esercizio del potere. La barriera con cui le donne si scontrano quando cercano di avvicinarsi alla politica attiva, è forte, fortissima. E quando si tratta di donne le aspettative si amplificano a dismisura, mentre, si sa, il credito dato a un uomo, sembra non richiedere troppe garanzie. Per abbattere quella barriera, non servono tanto delle leggi riparatrici, pur necessarie. Quello che davvero occorrerebbe fare, per un nuovo ordine ed equilibrio nella ripartizione degli spazi deputati all’esercizio del potere e nella partecipazione politica, è di innescare, dal basso, processi culturali capaci di cambiare le donne stesse, “le quali accettando o adattandosi a un modello di vita scelto per loro da altri- sostiene Noemi Sanna (autrice del libro Dieci motivi per cui le donne accettano
di essere dominate dagli uomini) – contribuiscono, di fatto, a mantenere saldi, più o meno consapevolmente, alcuni tra i più potenti meccanismi discriminatori”.
PrimaPagina edizione Giugno 2014 – di (Eugenia Tognotti)