Nonostante una legislazione a favore di pari opportunità o voto di genere, le donne non votano le donne. Perché? Per riflettere su questo interrogativo – dare una vera e propria risposta mi pare impossibile – credo sia utile fare diversi passi indietro e affrontare la questione da una prospettiva storica.
Com’è noto, in tutte le democrazie occidentali le donne hanno ottenuto il diritto di voto molto dopo rispetto agli uomini; non si è trattato semplicemente di una questione di “ritardo”, ma di una costruzione della cittadinanza esclusivamente al maschile. In altre parole, la costruzione delle democrazie si è fondata sull’esclusione delle donne e la loro acquisizione del diritto di voto attivo e passivo non ha portato a rimettere in discussione le regole di funzionamento dei sistemi rappresentativi, basati sulla loro assenza. Tutto questo ha coinciso alla solida affermazione di modelli politici declinati al maschile: se pensiamo alla storia istituzionale della Repubblica italiana, quanti volti femminili ci vengono in mente? Nella percezione collettiva i politici sembrano essere uomini per defi nizione, perché storicamente il mondo politico-istituzionale ha avuto gli uomini per protagonisti. Questi modelli hanno un peso su tutti i cittadini e le cittadine, quindi anche le donne possono essere più inclini, quando si recano alle urne, a scegliere un rappresentante maschio. Naturalmente non possiamo dimenticare che le donne sono adesso più presenti all’interno delle istituzioni, anche se resta il problema della sottorappresentanza femminile. È anche vero, però, che in molti casi le donne hanno dovuto adattarsi a un modo di fare politica pensato e costruito al maschile, comprimendo all’interno di spazi troppo angusti le capacità e le istanze femminili. Anche questo credo possa aver creato una sorta di sfi ducia tra le elettrici che non sempre riscontrano, fra le elette, delle modalità di gestione del potere e dei comportamenti diversi da quelli maschili.
PrimaPagina edizione Luglio 2014 – di Silvia Salvatici