L’ Italia è un Paese martoriato dal dissesto idrogeologico e i recentissimi
fatti di Genova stanno lì a ricordarcelo, qualora ce ne fosse bisogno.
Nell’accezione comune, i termini dissesto idrogeologico e rischio idrogeologico vengono usati per definire i fenomeni e i danni causati dalle acque, siano esse superficiali o sotterranee. Le manifestazioni più tipiche sono le franee le alluvioni, seguite da erosioni costiere, subsidenze e valanghe.
In Italia il dissesto idrogeologico è diffuso in modo capillare e rappresenta un grande problema.
Le regioni hanno stimato un fabbisogno di 40 miliardi di euro per la messa in sicurezza del territorio, cui però il governo nell’ultima Legge di Stabilità ha destinato appena 180 milioni per i prossimi tre anni. Le aree ad elevata criticità rappresentano il 9,8% della superficie nazionale e riguardano l’89% dei comuni, su cui sorgono 6.250 scuole e 550 ospedali.
In Abruzzo il 7,4% della superficie (797 kmq) è ad elevato rischio frana e lo 0,9% (102 kmq) è ad elevato rischio inondazione; sono interessate oltre 100.000 persone.
La provincia di Teramo non fa eccezione. Negli ultimi anni si sono verificati numerosi casi. Tra i fattori naturali che predispongono il nostro territorio ai dissesti idrogeologici rientra senza dubbio la sua conformazione geologica e geomorfologica, con estese aree collinari e montuose. Ma il rischio idrogeo logico è fortemente condizionato anche dall’azione dell’uomo; la densità della popolazione, l’abbandono dei terreni montani, l’abusivismo edilizio, il continuo disboscamento, l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente e la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua hanno sicuramente aggravato il dissesto e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio. Il consumo del suoloè aumentato del 156% dal 1956 ad oggi, a fronte di un incremento della popolazione del 24%. Ogni cinque mesi viene cementificata una superficie pari al comune di Napoli,un dato che mette in luce le responsabilità dell’uomo per queste catastrofi, che negli ultimi cinquant’anni hanno causato la morte di oltre quattromila persone.
In Abruzzo si lamentano, in totale, 14 morti per frane o inondazioni, dal 1963 al 2012. Il riscaldamento globalesta causando una recrudescenza dei fenomeni estremi. I mutamenti del clima portano ad una sola conclusione: quelli a cui stiamo assistendo con sempre maggiore frequenza non possono più essere considerati eventi climatici “eccezionali”, ma stanno purtroppo diventando la norma.
La sempre maggiore frequenza di episodi di dissesto idrogeologico impone una politica di previsione e prevenzione non più incentrata sulla riparazione dei danni e sull’erogazione di provvidenze, ma imperniata sull’individuazione delle condizioni di rischio e sull’adozione di interventi per la sua mitigazione. Per proteggere in modo efficiente la vita dei cittadini e l’integrità delle infrastrutture, occorre prevedere gli eventi possibili in un’area, individuando quali potrebbero essere i danni e le attività da porre in essere prima, durante e dopo un’emergenza.
Le attività di previsione e prevenzione devono acquisire maggiore rilievo, così come la necessità di informare i cittadini, dettando poche, semplici regole che favoriscano comportamenti virtuosi e non avventati.
I Geologipossono dare un contributo determinante per l’individuazione e la caratterizzazione delle aree a rischio frana e/o alluvione e per la realizzazione di dettagliate mappe del rischio, in relazione alle precipitazioni meteoriche attese, alla conformazione geologica e geomorfologica del territorio, al contesto urbano. Chi soprintende alla tutela e alla pianificazione territoriale, allo sviluppo urbanistico, industriale ed infrastrutturale, deve prendere coscienza del fatto che non si possono più relegare i Geologi ad un ruolo marginale, al rango di figura professionale “scomoda”, se non addirittura superflua; in caso contrario dovrà assumersi la responsabilità delle scelte sciagurate compiute nell’ignoranza delle dinamiche naturali che governano l’evoluzione dell’ambiente fisico o, peggio ancora, nell’illusione arrogante che le opere dell’uomo possano essere “calate” nel territorio come entità “a se stanti” e non come elementi che condizionano l’ambiente e che da questo sono condizionate.
PrimaPagina, edizione ottobre 2014 – di Pasquale Di Marcantonio (geologo)