-Luca, hai visto Sandro?
-Chiara, dovresti smetterla.
-Ma smetterla di fare cosa? Stavo prendendo una birra e lui era fermo fuori ad aspettarmi.
-Dovresti smettere di pensare che ogni volta sia lì ad aspettarti. Sei ubriaca per caso?
-No.
-Io credo di sì. Torna a casa.
-Va bene, credo che sia tu quello ubriaco qui.
-Si, credi ciò che vuoi. Ormai ogni giovedì ti riesce meglio.
È ancora giovedì. Un giorno che suona come una scusa. La scusa per cambiare abitudini, per ritrovarsi al solito
angolo dei Quattro Cantoni.
Così tanta gente immobile col bicchiere in mano e mille frasi in bocca, a guardarsi senza comprendersi. Ma c’è
ancora chi si prende il lusso di camminare. Perché ha paura di fermarsi e di infrangersi nelle vetrine rotte.
Era qui che Chiara aveva scelto di perdersi a giorni alterni, lungo i corridoi dell’Accademia di Belle Arti
in Via Leonardo Da Vinci.
A Milano era sola. Voleva solo andare via per farsi chiamare con un altro nome e dimostrare ai suoi 19 anni che
poteva sfidarli quanto voleva. Era un eterno fuggire, dalle false ambizioni e dai discorsi sterili di sua madre sul futuro. A seguirla c’era Sandro. L’eterno amico d’infanzia che aveva lasciato il posto ad un amore improvvisato.
“Perché L’Aquila?” Domandava perplesso. “In ogni caso, vengo con te.” Ribadiva.
Sugli annunci degli affitti appesi al terminal, avevano riposto le speranze da condividere a suon di metri quadri. Un letto spaccato a metà per litigare meglio.
Nel Settembre del 2008, appena arrivati, avevano voglia di scoprire la città e le sue abitudini. Uscivano ogni
sera. Si baciavano ad ogni crocevia, si tendevano le mani a Colle Maggio e saltellavano nella ghiaia del Parco del
Sole.
Ma in una notte di primavera, un frastuono di vento misto a tuoni li svegliò per sempre. In piedi al centro della
stanza, con lo stesso buio in fondo agli occhi. Il cuore ai piedi del letto e un nodo in gola a smorzare un urlo.
Chiara ha affrontato l’intero anno seguente con la fretta di vivere. E’ rimasta per non dover raccontare la paura,
per non affondare nei ricordi. Lei e Sandro non hanno più parlato da quella notte. Non hanno più parlato di
com’erano.
L’anno seguente, Chiara si era imposta di uscire ogni sera, di baciare Sandro ad ogni crocevia e di tendergli
ancora la mano a Colle Maggio.
Oltre questo, voleva riconsegnare la luce al centro, pur se disabitato. Voleva raccogliere le anime rimaste,
chiuderle in un barattolo e riconsegnarle una per una, posizionandole nelle fessure dei portoni socchiusi. Credeva nella sua missione di restauro dei cuori e di salvaguardia degli occhi. Voleva ricostruire L’Aquila, almeno
nella sua testa.
Sentiva piangere la città, ma sempre al buio e solo con asfaltatrici e trapani che coprissero i singhiozzi. Aveva tenuto addosso quell’odore di sanpietrini, per quella volta in cui si è lasciata andare ai piedi dell’asfalto.
In quella notte che esplodeva in mezzo al cielo con l’urlo straziante della cupola di Santa Maria del Suffragio.
L’Aquila è l’unica casa che vuole ricordare. E’ la sua voglia di ripartire senza padri e madri. E’ la città che
l’ha accolta, che l’ha cullata con dieci gradi sotto zero, che l’ha stordita d’amore e di buon vino. E i puntelli di
San Bernardino le raccontano di com’era bella L’Aquila alle sei di sera, con il sole che si spegneva piano dietro
la vallata. Adesso che regala altri profili e riflette l’immagine di quello che non rappresenta, mantiene incontrastato quell’istinto a mostrarsi imponente di fronte a qualsiasi catastrofe. Era quello che Chiara aveva deciso di ammirare. Era quello in cui voleva credere, ora.
Come ogni sera, da un anno a questa parte, voleva che Sandro la accompagnasse in centro.
“Chiara, sono stanco. Stanco di assecondare i tuoi rimpianti e di correre dietro ai tuoi rimorsi. Non vedi che
non c’è nessun miracolo? Né a Colle Maggio, né in Piazza Duomo. Nemmeno per me c’è stato. Via XX Settembre è spenta, la nostra casa è buia. Noi siamo morti. E tu continui a voler restare, costringendo anche me, fin quando non tideciderai a lasciarmi andare.”
Le parole di Sandro risuonavano in dissonanza dentro di lei mentre percorreva i vicoli. Si sporcava col pensiero che lui avesse ragione. Poi ritrattava quell’ipotesi.
Lei non era morta.
Ma era stanca anche lei di quei portici sospesi nel buio.
Di quei puntelli provvisori. Dei dettagli lasciati ad ammuffire. Dello spreco, cosi come del devasto. Dei sanpietrini divelti accumulati ai bordi delle vie. Delle erbacce. Dei lavori in corso nel luoghi sacri. Dei cartelli che vietavano gli accessi. Dei negozi trasferiti e delle campane date in pasto alla polvere.
Eppure è l’aria di una terra che rinasce, che sfida il suo destino e crede nel possibile. E’ una conca di speranze
riposte in cantiere, in attesa di un segnale di avvio che le apra le porte.
Tornata a casa, Chiara si stese nel letto accanto a Sandro. Allungò la mano per toccargli il braccio. E quello che non sentì ebbe il sopravvento.
Decise di farla finita una volta per tutte. Aveva condiviso troppo a lungo con lui quel distacco che la rendeva
orfana di calore e di abbracci a lungo termine. Ma voleva parlargli ancora una volta, l’ultima possibile:
-Tu sei ciò che penso quando il resto mi parla d’amore. Ti sei arreso senza nemmeno guardarmi in faccia. Hai raccolto le tue cose da terra e mi hai detto di scappare. Mi hai mandato a morire nella terra dei vivi. Ti sei appropriato dei miei ricordi. E ora non vedo più il presente. Questa città ci ha scavato un buco dentro. Dovevamo caderci insieme. Adesso ogni giovedì ti vedo fuori dai locali ad aspettarmi mentre prendo da bere. Non so più distinguere la tua sagoma fra tante. Ora per me sei chiunque. Quella notte mi hai lasciata sola a correre lungo Via XX Settembre. Mi hai detto di continuare fino a farmi mancare il fiato. Non sei mai uscito da quella stanza. E adesso sono ancora qui a chiedermi come sarebbe stato se tu mi avessi permesso di arrendermi con te.
Per Sandro, la vittoria era lasciare viva Chiara quella notte. Ha racchiuso l’amore per lei in due parole e l’ha spinta per le scale, mentre le speranze sfondavano il soffitto.
Nel giorno più buio, a poche ore dallo schianto, Chiara ha giurato di vivere la vita che le restava. Sandro era lì,
al posto del cuscino che stringeva ogni sera.
Non importa quanto amore ha perso, ora L’Aquila le apre ogni mattina gli occhi e le offre settanta giorni di gelo
all’anno. Non ha rimorsi per essere rimasta. Sa che tutto questo è temporaneo, una crisi d’identità passeggera che
purifica.
Ferma in Piazza D’Armi, si congeda dal mondo e ascolta i rumori che la invadono. Saluta Sandro e l’idea di lui
ancora accanto a lei.
Ora è libera di riconoscersi negli squarci di quelle mura, senza sconti. Senza paura, sa di essere ancora viva.
E L’Aquila con lei. Una volta per tutte.
PrimaPagina, edizione Novembre 2014 – di MILA NAPOLITANI
Nata a Teramo, il 28-09-1990 dove vive.
Studi classici, frequenta la Facoltà di Medicina dell’Università dell’Aquila.
sportiva e sensibile alle tematiche sociali, le sue passioni sono la lettura e
la…scrittura