L’ISLAM, QUESTO (S)CONOSCIUTO?

«Nonostante queste evidenti difficoltà, contro il terrorismo, non c’è altra strada rispetto alla collaborazione internazionale.»

Com’era logico avvenisse, i recenti fatti di Parigi hanno aperto una discussione a livello non solo italiano, ma anche europeo e mondiale sull’islamismo, quello buono e quello violento, oggetto in questi giorni di tutti i dibattiti televisivi e di ampi articoli sui quotidiani.

Per approfondire meglio la tematica islamica, che come effetto della globalizzazione riguarda noi tutti, PrimaPagina ha intervistato il Professor Gianluca Sadun Bordoni, docente di Filosofi a del Diritto presso l’Università di Teramo, dove insegna anche Diritti Umani. Presso la stessa Università è delegato del Rettore per i rapporti con le Università del Mediterraneo.

Professore, partiamo dall’inizio: secondo lei si può parlare di un Islam buono e di uno marcio?
Credo che il quadro sia molto più variegato e sfuggente. Sia l’Islam “moderato” che quello “fondamentalista” hanno una pluralità di espressioni. Nel caso degli islamisti, pensi ad Al Quaeda, all’Isis (Islamic State of Iraq and Syria), ai Talebani, ad Hezbollah, ad Hamas, a Boko Haram. Tutti costoro hanno bensì un nemico comune (l’Occidente), ma notevoli dif erenze, politiche e religiose, al loro interno.
Ci sono poi Stati alleati dell’Occidente, ma ispirati all’integralismo religioso (wahabita) come l’Arabia Saudita, e Stati come la Siria, autoritario e legato alla Russia, ma assai poco radicale sul piano religioso.
Inoltre, alla radice, prima del confl itto con l’Occidente, c’è una lotta interna, una ‘fi tna’, tra sciiti e sunniti. Non bisogna peraltro mai dimenticare che l’Islam non arabo sembra in generale meno ricettivo rispetto al fondamentalismo: il più grande Stato islamico del mondo, l’Indonesia ne è lambito solo marginalmente e lo stesso si può dire della Turchia, che nonostante un crescente fervore religioso e spinte autoritarie, resta un candidato all’ingresso nell’Unione Europea. Insomma, si tratta di un groviglio dif iilmente districabile, il che in parte spiega il disagio e il ritardo da parte dell’Occidente.

A Suo avviso, nelle moschee, nei dibattiti, nelle scuole coraniche, la parte sana dell’Islam usa suf iiente forza per contrapporsi a quella insana e violenta?
Se lei si riferisce all’Islam europeo, tocchiamo un altro problema, sollevato dalla crescente immigrazione, sulle cui complesse cause ovviamente non mi sof ermo. Certo, essa provoca una pericolosa frustrazione in molti immigrati, anche se cittadini, ma di origine islamica, a disagio in società profondamente secolarizzate come quelle europee. La mia impressione è che fi no a tempi recenti siano mancati gli strumenti culturali di base per capire il fenomeno, e in generale il peso della religione nella costruzione delle identità collettive. Non so però dirle se, all’interno del mondo islamico ci sia un contrasto suf iiente alle tendenze islamiste radicali. Quel che è peggio, ho paura che non
lo sappia bene nessuno.

Parigi ha reagito in maniera eclatante alla minaccia della libertà di pensiero. Passata l’onda emozionale della manifestazione, secondo Lei ora quali provvedimenti andranno adottati per contrastare questo clima di terrore?
Anche questo è naturalmente un problema di grande complessità. Il punto è secondo me questo: l’Occidente, per combattere in modo effiace l’islamismo radicale, ha bisogno della collaborazione di Stati islamici, come l’Iran, o la Siria, o l’Egitto, e di Stati non islamici, come la Russia, che per varie ragioni hanno il nostro stesso interesse a contenere il fenomeno dell’islamismo radicale sunnita.
Si tratta però di una collaborazione dif iile, perché questi Stati sono, in varia misura, distanti dai nostri standard di democrazia e rispetto dei diritti umani, e inoltre alcuni di questi regimi sono con il loro atteggiamento all’origine del risentimento degli islamisti, che non è solo rivolto contro gli Usa o l’Europa. Non a caso pare che tra i combattenti in Siria ci siano molti ceceni. Nonostante queste evidenti dif ioltà, contro il terrorismo, non c’è altra strada rispetto alla collaborazione internazionale.
Guardiamo dentro casa nostra: pensa che si troverà una quadra, un punto di incontro, tra chi sostiene che si deve reagire con la forza (cavalcando quest’onda, probabilmente, per una propria campagna elettorale) e chi, al contrario, pensa che solo il dialogo e la cooperazione potranno portarci fuori da questo marasma?
Rischio di peccare di ottimismo, ma questo è forse meno problematico. Non credo che da noi l’estremismo anti-islamico diventerà un vero problema, come in Francia. Da noi il populismo è diviso e una parte di esso, ad esempio il Movimento 5 stelle, pur essendo molto critica sull’immigrazione, non cavalca l’islamofobia.
Naturalmente tutto questo potrebbe mutare radicalmente nel caso di violenti attentati terroristici nel nostro paese, ma ci auguriamo fortemente che questo non accada.

PrimaPagina edizione Gennaio 2015 – di Mafalda Bruno