La mia storia è molto semplice” – esordisce così Alceo Rapagna nato a Teramo nel 1969– da papà teramano doc,
famiglia di commercianti, e mamma di Giulianova”.
Ma come spesso accade, quando si racconta una storia, lo straordinario è solo dietro l’angolo. “Dopo qualche anno
– riprende il suo racconto – facciamo quello che molti altri conterranei hanno fatto: siamo emigrati al nord, a Verona.
Studi scientifici e poi lascio anche Verona per la Facoltà di Ingegneria a Brescia, dove mi sono laureato.
Da subito ho capito che l’istruzione universitaria è importante, ma non basta e ho scelto di investire ulteriormente nella mia formazione anche sopportando sacrifi ci economici per i quali sarò sempre grato alla mia famiglia”. Questa convinzione lo porta a vincere una borsa di studio alla Scuola Superiore Enrico Mattei dell’ENI , finanziata dal gruppo, dove consegue un Master in Business Administration “che mi ha portato al primo lavoro come analista di investimenti nel settore esplorazioni petrolifere”. E dopo l’ENI arriva, nel 1998, la collaborazione con McKinsey & Company: “famosa multinazionale della consulenza strategica, dove pensavo di stare per poco tempo e invece sono rimasto 13 anni , occupandomi di strategia di crescita e marketing, in giro per il mondo.
Tante notti in albergo, tanti viaggi in aereo, ho le tessere punti di tutte le catene d’albergo o le aerolinee”. Quindi l’approdo in RCS (Corriere della sera, Gazzetta dello Sport, periodici e libri in Italia e El mundo, Marca ed Expansion, in Spagna) il primo gruppo editoriale in Italia, molto attento allo sviluppo dei nuovi media, che cercava qualcuno che li aiutasse a traghettare il passaggio al digitale.
Lei è stato definito l’uomo delle sinergie per il suo progetto di trovare una coniugazione tra carta stampata e digitale. Questo “matrimonio” è possibile?
La domanda è centrale, ma la risposta non è ancora stata trovata. Anche grandi testate, come Il NewYorkTimes ad esempio, che hanno interpretato molto precocemente il cambiamento, continuano a fare molta fatica. A fronte di una grande crescita digitale c’è ancora una grande fatica a far quadrare i conti. La risposta non c’è ancora, ma la fi losofi a sta nel fatto che carta e digitale sono dei mezzi, mentre i contenuti fanno la dif erenza. Le persone a cui un editore si rivolge non sono digitali o di carta, ma sono lettori o spettatori che fruiscono di informazioni, quindi il dibattito tra carta e digitale è a volte fuorviante perché ci si concentra sul mezzo e
non sul contenuto. La sinergia va impostata sulla persona che fruisce del mezzo, il lettore, l’utente, il consumatore . E si realizza quando si è in grado di dialogare con queste persone attraverso tutte le piattaforme. Sta nel dato,
nella conoscenza, nell’informazione. Nel settore dell’editoria contano il numero di copie in edicola o gli accessi su internet. Va bene, ma ancor più di questo sarebbe meglio conoscere i nomi e cognomi di queste persone, i loro interessi, le loro passioni i loro bisogni. Se l’editore riesce a mettere in relazione questi elementi allora c’è
sinergia.
Il cosiddetto “consumer engagement”… Esatto. Il tema che ho cercato di elaborare è quello di lavorare sulla conoscenza del nostro target non solo con le ricerche di mercato, ma con le banche dati, la registrazione dei nostri
utenti e una serie di meccanismi relazionali che generalmente un editore non conosce. Per conoscere ad uno ad uno i propri clienti. Tramite le copie cartacee si è sempre parlato ad un pubblico ignoto, cosi come per i click del web che sono di persone sconosciute. Ma nel momento in cui saremo in grado di aprire un dialogo con
queste persone ecco che la sinergia diventa relazione. Cercando di estendere il dialogo multimediale. Sembra facile a dirsi ma in realtà c’è da lavorare.
Di lei si legge che è un appassionato di fumetti. Come nasce questa passione?
Il mio nonno materno era un insegnante, un maestro dei tempi di guerra, che purtroppo mi è stato vicino per pochi anni e ricordo che mi portava con sé in classe e mi faceva disegnare.
Disegnavo tantissimo e questo mi ha portato a sviluppare una certa passione per il fumetto che purtroppo non sono riuscito a coltivare in modo professionale. Mi defi nisco uno scarabocchiatore con una certa maestria, ma non più di questo.
Che ricordi ha di Teramo?
Ho dei ricordi bellissimi, come di tutto l’Abruzzo. Un fortissimo legame con la mia terra e con tutti i parenti. E poi il cibo, ma soprattutto il mare dove passavo le estati con la famiglia e non ho mai mancato le feste comandate. Trovo che l’Abruzzo sia una regione con straordinarie potenzialità, forse ancora non tutte espresse, credo, per una questione di marketing. La nostra terra non ha niente da invidiare ad altre realtà, ci sono persone di grande talento oltre alla natura e al cibo.
Cosa suggerisce?
Innanzitutto dove non arriva l’istituzione può arrivare l’imprenditoria, anche digitale. Kennedy diceva: “pensa cosa puoi fare tu per il tuo Paese”. Così è utile cercare di far emergere le nuove realtà giovanili, i cosiddetti startupper
che proprio nel sud Italia sono molto vivaci.
E poi concorsi di idee, con l’aiuto di qualche sponsor, per sviluppare il digitale e creare delle community che mettano insieme teste brillanti e storie da raccontare. Chi conosce il territorio può raccontare storie interessanti e far conoscere le eccellenze.
Lei ha creato un social network per bambini, come è nata l’idea?
Una bella esperienza con una startup israeliana. Chiunque abbia dei bambini piccoli vede i rischi del web. Tutti i social network in teoria sono vietati ai minori, ma ahimè ci sono milioni di bambini e ragazzini che hanno accounts
su facebook e possono essere esposti a rischi. Questa community invece è cresciuta benissimo e la tecnologia ci permette di proteggerne l’anonimato e tutelarli dai rischi.
Allora arrivederci a Teramo?
Certo, magari per la prossima fiera del fumetto.
… dove si raccontano storie “straordinariamente semplici”.