Ritengo che l’essenza del fanatismo stia nel desiderio di costringere gli altri a cambiare.
Quell’inclinazione comune a rendere migliore il tuo vicino, educare il tuo coniuge, programmare tuo figlio, raddrizzare tuo fratello, piuttosto che lasciarli vivere. Il fanatico è la creatura più disinteressata che ci sia.
È un grande altruista.
Il fanatico è più interessato a te che a se stesso, di solito. Vuole salvarti l’anima, vuole redimerti, vuole affrancarti
dal peccato, dall’errore, dal fumo, dalla tua fede o dalla tua incredulità, vuole migliorare le tue abitudini alimentari, impedirti di bere o di votare nel modo sbagliato.
Il fanatico si preoccupa assai di te: o ti si butta al collo perché ti vuol bene sul serio o punta alla gola, ell’eventualità che ti mostri irriducibile. Il fanatico è più interessato a voi che a se stesso perché ha un io molto piccolo, o perché
non ce l’ha af atto.”
Le parole dello scrittore israeliano contemporaneo Amos Oz sono tratte dal suo prezioso volume, Contro il fanatismo (Milano, Feltrinelli, 2004), un breve saggio che si distingue tra i molti simili grazie alla leggerezza con cui l’autore affronta questioni spinose e di grande interesse collettivo; la citazione, tra l’altro, inquadra in modo originale la fi gura del fanatico: questi non è solo l’invasato che si imbottisce di esplosivo e salta in aria in una discoteca o su una metropolitana, ma è anche colui che, nascondendosi dietro un sorriso, non accetta altro che la propria visione del mondo e desidera che tutti la assumano, per amore o per forza.
Che cos’ è, dunque, il fanatismo? È la volontà di imporre al prossimo un cambiamento sulla base di convinzioni che non si è disposti a modificare. È una componente onnipresente nella natura umana, più antica di ogni stato o governo, di ogni ideologia politica, di tutte le confessioni del mondo; è spesso legato a contesti di profonda disperazione, perché laddove le persone non avvertono altro che disfatta, umiliazione e indegnità, ricorrono a forme disperate di violenza.
Si distinguono manifestazioni di fanatismo gravemente dannose, tra le quali il barbaro assassinio di chi si oppone alle convinzioni di un gruppo dominante; e forme più lievi, come l’imposizione al prossimo delle proprie abitudini, del proprio pensiero, delle proprie idee. Tuttavia, spiega Oz, chi fa saltare cliniche dove si pratica l’aborto, chi compie atti di vandalismo sulle facciate di moschee e sinagoghe o chi chiede al partner il divorzio perché egli non si adegua alle necessità della famiglia, differisce -per esempio- da Bin Laden solo nella misura, e non nella natura dei suoi crimini. Fanatismo è anche credere che un certo fi ne giustifichi qualunque mezzo, lecito o illecito. È carenza della fantasia che consente di mettersi nei panni del prossimo: d’ altronde, quando si è pieni di rancore e di ira, non si è in grado di interrogarsi sulle ragioni dell’ altro, che invece potrebbero essere vicine alle proprie o almeno avere origine da una comune radice. In fin dei conti, il fanatismo è un immenso dolore, una malattia dell’ anima per la quale il nostro autore immagina una serie di cure.
La prima è l’esercizio sistematico del compromesso, non inteso come “capitolazione”, o come “porgere l’altra guancia” al nemico. “Compromesso” è vita che si oppone alla morte; è l’incontro a metà strada tra due contendenti consapevoli del fatto che nessuno otterrà la completa soddisfazione della sua volontà, ma dovrà
rinunciare a parte dei benefi ci per la serenità di entrambi.
Anche la letteratura è un eccellente rimedio contro il fanatismo; leggere romanzi favorisce lo sviluppo dell’ immaginazione, che conduce l’uomo a capire le ragioni degli atteggiamenti altrui, ipotizzandone l’origine: i più fortunati scopriranno di avere qualcosa in comune con l’avversario tanto detestato ed afferanno il senso dell’ umorismo, attraverso la pratica della relativizzazione e della visione di se stessi come osservatori esterni.
Amos Oz applica la teoria antifanatica alla risoluzione dell’ annoso conflitto tra Israele e Palestina;
la sua ipotesi di chiusura è un divorzio equo, un eccellente e sofferto compromesso: la creazione di due stati sovrani i cui confini siano quelli stabiliti dall’ Onu nel 1948, il risarcimento in denaro ai profughi palestinesi da parte di Israele e quello ai profughi ebrei da parte dei paesi arabi, la spartizione di Gerusalemme, la creazione di un mercato comune mediorientale.
Non è affatto facile mettere in atto cambiamenti simili, ma essi, per quanto dolorosi, sono necessari per una cultura di pace da opporre al caos che oggi imperversa nella Terra tra il Mediterraneo e il Giordano.
PrimaPagina edizione Marzo 2015 – di Simona Cascetti