Le prove INVALSI sono state boicottate. La riforma della scuola mobilita eserciti di insegnanti, genitori e studenti in un’insurrezione immediata e trasversale che neanche la Gelmini era riuscita a provocare e incanalare con il famigerato “ tunnel dei neutrini”.
Tutti contro la riforma che a detta del Governo dovrebbe rimettere il merito, la cultura e la responsabilità al centro dell’universo Scuola.
Nonostante la promessa di assunzione di 160.000 precari, nonostante i bonus culturali per gli insegnanti, nonostante l’assunzione di responsabilità dei dirigenti scolastici nella scelta dei docenti e delle off erte didattiche. O forse proprio per tutto questo.
Siamo talmente poco abituati alla meritocrazia da non saper neanche defi nire i criteri di valutazione e soprattutto da non volerli subire. Non vogliamo essere giudicati. Anche la parola “responsabilità” assume un signifi cato ambiguo, in un paese dove tutti vogliono dirigere, ma nessuno è disposto a subirne le conseguenze quando si cade in errore.
Perché c’è sempre un protocollo, una procedura, una consuetudine o un’interpretazione legislativa che impedisce di identifi care un “responsabile”. Appunto. Siamo in Italia, merito vs raccomandazione, discrezionalità vs clientelismo, la doppia faccia della stessa medaglia.
Si parte dal presupposto (peraltro comprensibile) che qualsiasi potere, dal più insulso al più elevato, porti all’espressione peggiore. Secondo un recente sondaggio, la percezione degli stranieri sul costume sociale e morale del nostro paese, ha posto l’Italia allo stesso livello della Colombia per “merito” o “colpa” della corruzione. In pratica nel mondo ci considerano corruttori e corruttibili come i trafficanti colombiani.
Un primato di cui vorremmo proprio incominciare a fare a meno.
E mentre aspettiamo un’evoluzione culturale che ci permetta di riconoscere in modo chiaro il significato della parola “merito” e con quali “criteri” viene defi nito, diamo per scontato che il “responsabile” della scelta di docenti e di piani formativi, sia alla fi ne il solito “signorotto” di turno che fi nalmente può coltivare ( a sua discrezione) il suo personale “orticello”.