Donne, lavoro e welfare
Nella piramide di Maslow la realizzazione dei bisogni di occupazione, familiari, di salvaguardia della salute, sono
al secondo posto dal basso.
Ad oggi i valori e il loro peso su ogni individuo sono nettamente cambiati. Ma quali sono i bisogni reali di una
famiglia media italiana in cui gli adulti lavorano e i bambini necessitano di cura?
La risposta è tutta nella utopica, folle realizzazione e messa in opera di quello che i politologi ci hanno illuso potesse avvenire anche nel nostro paese: il welfare state, (dall’inglese =stato del benessere . Benessere = stare bene).
Un grande desiderio per ogni famiglia. Tuttavia più ci si informa e più si scopre di essere, in Italia, nel vero terzo mondo d’Europa. Non ci sono abbastanza strutture che possano accogliere bambini e, quando ci sono, i costi sono elevatissimi. Non c’è un diritto alla genitorialità come negli stati del nord Europa, all’avanguardia nello stato sociale.
Non vengono tutelate sufficientemente le madri o chi vorrebbe diventarlo pur lavorando. Uno stato che non investe sulla popolazione minorile, sulle donne e sul loro duplice e fondamentale ruolo di madri lavoratici, non crede nei giovani che saranno gli adulti di domani, fomenta profonde frustrazioni psicologiche per la mancata realizzazione personale e professionale.
Non è così in Germania dove le donne, i bambini e le famiglie sono considerati la necessaria, importantissima base su cui investire in senso economico e non solo, per solidificare lo stato sociale.
Non è così nei paesi come Danimarca, Svezia, Finlandia, in cui la disoccupazione femminile è bassissima. Perché chi vi governa sa che in ogni famiglia una donna, alla quale nessuno chiede di scegliere se essere mamma o lavoratrice, garantisce forza lavoro e realizzazione personale.
Nei paesi nord europei una famiglia può scegliere se avvalersi di un asilo pubblico, con orari anche notturni, avvalersi di una baby sitter o affidare i bimbi a case private gestite da altre mamme, il tutto sotto l’occhio vigile dello Stato. In Germania, dove l’anno scolastico inizia ad agosto, esiste addirittura un Ministero delle donne ,degli anziani e dei giovani che lo scorso anno ha intrapreso un progetto sugli asili nido per potenziarne la presenza sul territorio
e disincentivare la scelta del genitore di rimanere a casa ad accudire il proprio piccolo. Un grandissimo, irrealizzabile sogno in un paese come il nostro, lontano anni luce dall’essenza che la parola welfare racchiude.
Ultima nota: il Ministro della Famiglia tedesco è una donna, mamma di due bimbi, che ha meno di 40 anni….
In Italia il lavoro per le donne è ancora un problema di serie B , per il livello di occupazione che esse raggiungono, ma anche per le caratteristiche che possiede, quando si trova, il lavoro. I dati Istat nella fascia di età 15/64 anni mostrano un’occupazione femminile naturalmente al di sotto di quella maschile in percentuale, anche se l’andamento negli anni, partendo dal 1993 ad oggi (2013 dato disponibile), mostra il lavoro femminile resistere di più di quello maschile. Ciò è spiegabile per la presenza nel mondo del lavoro di un’occupazione femminile che doppia i lavori domestici o le incombenze prettamente legate al ruolo della donna nella famiglia, per la loro presenza nei servizi e per la maggiore disponibilità da parte delle donne di accettare lavori meno retribuiti e più precari, spesso per poter far fronte alla perdita di occupazione del marito.
Eppure le donne quando studiano si laureano prima e con risultati migliori. Nelle discipline di formazione alla direzione, perfino tecniche, danno migliori performance . Questo però non of re possibilità di ricoprire nel settore privato fi gure apicali, lasciando le donne per lo più in posizioni intermedie. La disparità nel mondo del lavoro, un coinvolgimento basso e intermittente al lavoro, e la massiccia partecipazione femminile al lavoro di cura, per
scelta, ma anche per mancanza di strutture di supporto, produce tre dati:
1- un minor numero di pensioni dirette ovvero erogate sulla base di contributi versati;
2- una componente minoritaria di queste sul totale delle pensioni erogate;
3-una minore remunerazione del singolo trattamento e della spesa complessiva previdenziale (pensioni più basse e minore spesa complessiva).
PrimaPagina edizioneLiuglio 2015 – di Sara Angelini