Il 50 % dei fallimenti abruzzesi ha “casa” a Teramo.
Il Cresa ha così ufficializzato quello che da anni abbiamo vissuto, più o meno tutti, sulla nostra pelle. E per tutti intendo quelli che ogni giorno si arrovellano il cervello per sopravvivere in una città fallita.
Una situazione per la quale non si trovano più né aggettivi né sostantivi. E mentre il deserto economico avanza, i politicanti che fanno?
Basta dare una scorsa a social networks, alle news on line, ai pochi fogli di carta ancora in giro, per leggere cose talmente lontane dalla realtà da sembrare delle vere e proprie (scusate l’ossimoro) fiction.
Il dibattito politico teramano verte su argomenti che neanche la più fervida e allucinata fantasia potrebbe immaginare: chi siederà sulla poltrona di chi? Rimpasto o non rimpasto? Dove mi siedo oggi, in maggioranza o all’opposizione? Sfiducia o non sfiducia?
Consigli comunali in cui la cittadinanza è un ectoplasma fastidioso che osa disturbare dibattiti di impressionante squallore. Solo la questione del presidente del consiglio comunale, (dentro o fuori) tra mozioni e “colpi di scena”, ha riempito ore e ore di selvagge discussioni. Per non parlare della telenovela Team, che secondo le novità governative sembra destinata a fondersi con l’altra municipalizzata RUZZO.
Abbiamo una città che si ferma per pochi fiocchi di neve, perché nonostante gli strombazzati “piani”, non si vede mai un mezzo spargisale ( e neanche il sale, solo qualche sacchetto di catrame di tanto in tanto) .
Emergenze abitative affrontate con la stessa lentezza della ricostruzione del Belice. Ospedali in via di estinzione, scuole accorpate in base a logiche demenziali, disabili continuamente depauperati di supporti e servizi.
Una landa di desolazione, questa città, in cui sopravvivono solo “muschi e licheni”, ovvero la muffa, lo stantìo di menti e ragionamenti il cui stato di avanzata decomposizione non è solo visibile ma anche odorabile.
E non per la “monnezza” che anche quando ( e dove) viene ritirata, se cade dai furgoncini rimane li, per giorni, come le briciole di Pollicino, ad indicare il percorso. Ma semplicemente per la povertà delle menti pensanti, semmai ve ne fossero. Un noto economista teramano, in queste ore, commentando i dati CRESA, sostiene che l’unico settore che “tiene” e lancia timidi segnali di crescita è l’agricoltura. Infatti il 65% del territorio teramano è a vocazione agricola. Peccato l’abbiano notato solo i coltivatori diretti, mentre i politicanti turandosi il naso e alzando lo sguardo continuano imperterriti a discutere del nulla.
Il dramma economico della nostra città è nell’assenza totale della politica.
Quello che abbiamo sotto gli occhi è invece un gruppo di nostalgici dei rampanti yuppies anni 90, quando era trendy l’autoaffermazione. Erano i primi anni del berlusconismo, delle giacche blu e pantaloni grigi, tutti esperti di Borsa e pronti a corrompere e farsi corrompere pur di coronare successi con bollicine, polverine e strafighe in una effimera apocalisse basata sul nulla ma tesa al capitalismo dell’inciucio.
Dove sono, qui e oggi, i brillanti laureati, poliglotti, in grado di pensare e programmare il futuro di questa città? Dove sono le idee e le azioni innovative nella politica locale? In una destra che perpetua la liturgia di una DC anni 90 e una sinistra a specchio, dalla stessa provenienza e orientata alla stessa direzione? Perfino il “nuovo” o che si spaccia per tale, non è che il “figlio” naturale di questo “matrimonio” d’interesse comune, che in questa “famiglia” cerca il suo posto.
Mentre tutto il resto del mondo è andato avanti, re-inventando modelli e prospettive e sperimentando nuove vie, noi siamo rimasti fermi, e non solo politicamente, a 30 anni fa.