…e l’arte di essere meno perfetti
“Perfezionismo è un termine adoperato sempre più spesso; tuttavia, il suo orizzonte di significato non è definito. Noi conosciamo ciò che alla parola è collegato: la tensione verso alte, altissime mete. I perfezionisti pretendono tanto da se stessi e dalle persone che li circondano. Vogliono il meglio, la compiutezza, la perfezione, l’esattezza. Individualmente e socialmente, hanno qualità positive; ma nel loro sforzo pervicace di migliorarle, esagerano e vanno oltre, fino a trasformarle in difetti. Essi non conoscono la misura, e dunque non sanno quanto controllo è ancora opportuno, quanto impegno è necessario, quanto sono sostenibili la limitazione e la sofferenza per il raggiungimento del massimo in un obiettivo, quanto è abbastanza per l’optimum.”
In poche righe Ulrike Zöllner, psicologa, esperta di psicologia dell’educazione e di psicologia clinica, introduce il suo breve saggio “Sindrome da perfezionismo”, pubblicato in Italia nel 2001: un’opera divulgativa chiara, completa e proposta ai lettori con la necessaria leggerezza, che certamente avrà tanto da dire a molti di noi.
La galleria delle personalità che tendono al perfezionismo, afferma l’autrice, è vastissima: vi si incontrano i fissati della catastrofe, i fanatici delle buone maniere e della morale, i maniaci dell’ordine, quelli della salute del corpo e della pulizia personale e degli ambienti; coloro che non possono fare a meno di compiere azioni secondo un rituale, i rigidi amanti delle regole e dei principi, gli eterni criticoni, gli schiavi della propria immagine e delle proprie aspirazioni, i feticisti della bellezza eterna.
Certuni sono più attivi nell’imporsi sul prossimo, altri meno; i livelli di esercizio del controllo sulle persone vicine sono diversamente intensi; senz’altro, però, tutti i perfezionisti sperimentano una costante ansia da prestazione, il timore sottile o inconfessato di non soddisfare gli altri, di perdere la faccia, di non essere amati, di essere esclusi.
Quali sono le cause del perfezionismo?
Per esempio, l’imitazione del modello genitoriale: una mamma o un papà perfezionisti indurranno un bambino alla ripetizione del proprio comportamento, pur senza volerlo.
Esiste inoltre, nel perfezionista, il desiderio di rimozione delle proprie paure; egli separa gli ambiti di personalità che esigono troppo da lui e che non riesce a gestire: l’angoscia, l’aggressività, l’istinto. L’apparenza, lo zelo eccessivo, l’ordine, la pulizia, la precisione, sono armi per nascondere a se stessi verità ardue quali la caducità della vita, l’inadeguatezza, la possibilità di commettere errori, la dicotomia tra il “sé reale” e quello ideale. Attraverso gli atteggiamenti perfezionistici, fonti di apparente sostegno e presunta sicurezza, l’uomo cura l’ansia che deriva dalle incertezze della vita nel mondo contemporaneo. Osserva Zöllner che “dove tutto è in movimento, dove tutto cambia volto così rapidamente sia nel sociale che nel privato, un sistema di regole, uno schema di routine e di abitudini mette il terreno sotto i piedi e dà la sensazione di essere a proprio agio”.
I perfezionisti conducono un’esistenza difficile e trascinano con sé nel tormento le persone a cui dichiarano di volere più bene: quelle che sono loro accanto nella quotidianità. I parenti e i compagni di vita restano, tuttavia, gli unici che possono cambiare le cose. Come? Innanzitutto, comprendendo che le radici di certi atteggiamenti bizzarri non affondano nei difetti caratteriali, ma nella paura e nel bisogno di essere amati, e agendo di conseguenza senza stigmatizzare.
Se si desidera accompagnare un amico ad accettare la propria umana fallibilità, occorre affiancarlo in un percorso di pochi passi alla volta verso il cambiamento, preservando con fermezza se stessi ma facendo percepire a lui fiducia, sicurezza e amore attorno.
di Simona Cascetti
“Sindrome da perfezionismo. L’arte di essere meno perfetti“
di Ulrike Zöllner
Roma, Koinè (Centro Interdisciplinare di Psicologia e Scienze dell’Educazione), 2001