Strana epoca quella in cui l’umanità si è cacciata, alle soglie del 21.mo secolo:
– la corsa tecnologica ci coccola e ci solleva da ogni dolore, disagio, o sforzo manuale, ci fornisce soluzioni a basso costo per fare qualsiasi cosa (dal giro del mondo alla costruzione di navi, torri o supercomputer)e ci consente di ottenere molte più informazioni di quelle che riusciamo a gestire;
– la disponibilità di risorse monetarie ci sembra totalmente insufficiente per acquisire tutto ciò che pensiamo di aver bisogno, gettandoci in uno stato di ansia e affaticamento intellettuale, di precarietà del posto di lavoro, di instabilità sociale, di poca volontà di pensare costruttivamente al futuro e alle generazioni successive, di scarsa soddisfazione in generale.
Detto così sembra un vero paradosso: potremmo chiederci se con le ultime conquiste della scienza abbiamo raggiunto l’inferno invece che il paradiso, ma resterebbe una considerazione di ordine filosofico e spirituale.
Mentre per certo ben pochi di noi oggi avrebbero voglia di tornare indietro nei secoli, anche perché data la limitata durata media della vita fino a poche generazioni addietro, tornando indietro nei secoli molti di noi forse sarebbero già morti o fisicamente invalidi.
Eppure la scienza, la tecnologia, le ricchezze materiali, le case e le automobili, il riscaldamento/condizionamento, l’informatica e la sanità sono tutte conquiste di cui dovremmo andare molto fieri. Forse anche l’avvento di quel che denominiamo con qualche approssimazione “democrazia” deriva dai progressi della tecnica.
Ciò nonostante, quel che sta accadendo oggi, alla maturità della rivoluzione industriale, è che l’uomo è soltanto giunto a sottoporsi a nuove forme di schiavitù: quella di dover restare continuamente al passo con i tempi, con il know-how, con la formazione e la cultura scientifica in generale, per potersi mantenere al passo con i tempi ma soprattutto per riuscire a mantenere il proprio posto di lavoro. La formazione è oramai continua, come una un meraviglioso dolcetto di cui però abbiamo già fatto indigestione, dal momento che dobbiamo ingugitarne quantità industriali, solo per restare al passo coi tempi.
Eppure basterebbe poco: a produrre tutto il cibo di cui abbiamo bisogno basta solo il 2% della popolazione mondiale, per produrre l’abbigliamento e gli altri beni essenziali poco più…
Rimanere al di fuori degli ingranaggi del mondo lavoro, nel quale si definisce necessariamente la vita anche dal punto di vista economico e sociale, significa molto spesso per l’uomo del XXI secolo, raggiungere presto la disperazione e la rovina economica. Difficile oggi rimanere ai margini della società moderna, contentarsi di poco, non restare fortemente connessi alla rete, non voler usare l’energia per muoversi, scaldarsi, curarsi. È roba da asceti, filosofi, sciamani e forse anche rivoluzionari (e come tale sovversivi da contenere e isolare). Cioè è attuabile solo per pochi, senza famiglia e magari senza nemmeno una stabile abitazione.
Senza pensare che tra l’altro le singole nazioni hanno programmi di spesa ogni anno crescenti, spesso anche per fini solidali e benefici, ma per poterseli permettere obbligano i loro cittadini a pagare tasse su qualsiasi cosa, impendendo ai più di sottrarsi al ciclo di produzione e consumo.
Il punto è che non si tratta di un eccesso dei nostri tempi, di un’esagerazione dovuta alla sbornia di modernizzazione che presto ci farà rientrare nei canoni entro i quali l’umanità è sempre vissuta: se si guarda bene si comprende che tutto quello che stiamo vedendo è niente a fronte di ciò che sta per succedere: quanto a rivoluzione tecnologica/digitale sembra proprio che siamo solo all’inizio!
Ma i benefici delle innovazioni, del progresso e dell’automazione rischiano di appartenere ai soliti pochi, mentre affinché i più ci guadagnino anch’essi sarà necessario procedere ad attente politiche redistributive del reddito piuttosto che all’accelerazione dei ricambi generazionali, innaffiando le nuove leve con molta, molta cultura scientifica e formazione professionale.
Sono oramai due secoli che assistiamo al ciclo di innovazione tecnologica-disoccupazione conseguente-incremento della produttività-miglioramento del reddito disponibile. Sino ad oggi anche i peggiori luddisti hanno dovuto ammettere che la disoccupazione procurata dall’automazione industriale alla fine portava benefici per tutti. Ma oggi potrebbe essere diverso: i detentori del capitale investito in innovazione la utilizzano per concentrare in poche mani la loro ricchezza e spesso appartengono a quell’1% dell’umanità che ha lo stesso reddito di 3,5 miliardi tra gli individui più poveri.
Spesso poi le innovazioni “digitali” generano “disoccupazione da tecnologia” computer, robot e impianti che prendono in permanenza il posto degli esseri umani, sollevandoli da un lato dalle loro fatiche ma anche spiazzandoli ed eliminando il loro ruolo sociale, dunque emarginandoli, ma anche tutti i settori industriali e commerciali tradizionali che perdono competitività a causa della rivoluzione che viaggia sulla rete internet.
Non esistono rispose politiche preconfezionate al dramma dei nostri giorni, in cui sempre più attività economiche del passato tendono a morire di inedia mentre nuovi modelli di business si affermano senza impiegare individui. La cosa avviene nel mondo e nel tempo a macchia di leopardo, lasciando intere nazioni al palo perché arretrate dal punto di vista digitale come pure per lo stesso motivo intere generazioni a riposo.
L’unica certezza è che il fenomeno richiede molta molta attenzione da parte di chi governa, prima che monti un’onda di scontento conseguente alla disoccupazione da tecnologia e alla compressione dei margini industriali che internet provoca su tutti i settori tradizionali. Onda che rischia di travolgere la stabilità delle istituzioni sociali!
di Stefano L. Di Tommaso*
*Economista d’Impresa
Università L.Bocconi Milano
Studio Professionale de La Compagnia Finanziaria