Scerne di Pineto dal 1988 ospita alcuni centri che hanno come obiettivo principale la cura del bambino abusato e maltrattato. Del minore, cioè, che nel suo percorso di vita e in alcuni casi fin dalla nascita, ha subito traumi, legami di attaccamento disfunzionali per carenze genitoriali. Per realizzare un percorso di recupero sono nate diverse strutture articolate. La prima è stata una comunità, Casa Madre Ester, che accoglie bambini nella
preadolescenza e adolescenti. In circa 23 anni di attività ha ospitato più di 600 bambini. Dal ’91 è nata una nuova comunità a Isola del Gran Sasso, il Nido del Focolare, per bambini della primissima infanzia, e dal 2001 una terza comunità, il Focolare, sempre a Scerne di Pineto, che accoglie prevalentemente bambini in età scolare. Incontriamo il dott. Andrea Bollini, responsabile del Centro Studi Sociali, altro importante settore della Fondazione a cui tutte le attività fanno riferimento. “Vi è stata la necessità – spiega Bollini – di creare un luogo che avesse una certa omogeneità di età, il più possibile familiare, comunitario, per bambini e ragazzi che ci vengono affi dati dai Tribunale dei Minori”. Da dove provengono questi bambini? Quali problemi affrontano? Sono bambini in prevalenza abruzzesi, ma in alcuni casi anche di altre regioni. Accanto all’accoglienza è necessario un percorso di comunità educativa per tutti quelli la cui permanenza in famiglia costituirebbe un pericolo per la loro stessa sopravvivenza, per il loro benessere psicofi sico. Nel momento in cui si genera un abuso sessuale, con genitori comunque invischiati e quindi senza la possibilità di appoggiarlo ad un genitore protettivo è chiaro che l’allontanamento è inevitabile, come anche in casi di deprivazione molto gravi in cui i bambini sono a rischio di sopravvivenza perché non vengono alimentati. In questi anni abbiamo accolto molti bambini denutriti, vittime di gravi maltrattamenti fi sici, quegli stessi che a volte sfociano purtroppo negli infanticidi, e che se non vengono rilevati, rischiano di dare origine alla cronicizzazione del maltrattamento con gravissime conseguenze. Per curare i danni prodotti dal maltrattamento e che si classifi cano come i cosiddetti “traumi”, ma che in realtà sono danni che producono disturbi del comportamento, della sfera cognitiva e spesso ritardi (es. la trascuratezza può produrre ritardi motori, del linguaggio), oltre all’intervento di comunità, di casa, che è già una parte importante della terapia, è molto importante ricreare un clima che ripristini le condizioni di una qualità della vita che il bambino potrebbe non aver mai conosciuto. Quando arrivano da noi, a volte in condizioni igieniche deplorevoli, oppure dopo aver fatto esperienza di relazioni violente, ritrovarsi in un ambiente in cui non vengono usate le mani né alcuna forma di punizione corporale, con la rete dei volontari, degli educatori e degli operatori a garantire supporti psicologici, emotivi, il ripristinarsi di regole e orari dei pasti ecc., il bambino ritrova la qualità della vita. Si dice che i bambini riparano subito i loro danni. E’ vero o no? Con i bambini non bisogna perdere tempo. In molti casi i danni sono riparabili, in altri no o solo parzialmente. Le variabili sono tante. Soggettive, che noi chiamiamo resilienza: ci sono bambini che sono resilienti al maltrattamento, cioè sanno uscir fuori dalle situazioni di crisi anche con un modesto accompagnamento psicologico, e che da adulti mostreranno pochissimi segni. O, al contrario, trasformeranno la loro esperienza di vita in qualcosa che darà loro la spinta per essere genitori ancora più adeguati o persone impegnate anche su questo fronte. In questi venti anni abbiamo assistito a bambini che sono diventati a loro volta adulti particolarmente sensibili a questi temi, e quindi operatori o volontari. La resilienza è un dato comune a quasi tutti i bambini, che però fanno un percorso, sia di cura al nostro interno, sia poi con esito di adozione, o comunque con l’ingresso in una famiglia adeguata che lo possa proteggere e accompagnare la sua crescita. Purtroppo, i casi di fallimento si registrano quando i tribunali, le corti d’Appello, magari anche sulla base di relazioni dei servizi sociali, consentono il rientro del bambino in famiglia, anche se le condizioni che hanno dato origine al maltrattamento non sono state riparate. Spesso vengono riaffi dati in virtù di decreti, senza che la famiglia sia tornata ad essere idonea. Poi molto dipende dalla gravità dell’abuso. Nelle forme più gravi di maltrattamento, come quello fisico o l’abuso sessuale, è necessario che ci sia un percorso continuato psicoterapeutico. Certi traumi non si cancellano semplicemente entrando in una nuova famiglia. Rischiano di riemergere durante l’adolescenza o l’età adulta per cui il percorso di accompagnamento è ndispensabile per prevenire i disturbi e le ricadute . Che tipo di percorso? Nel ’91 è nato il centro Primavera e dal ’97 attuiamo un progetto –obiettivo regionale interventi sanitari in convenzione con la Asl di Teramo. In tutti questi anni abbiamo fatto una ricerca – presentata a novembre 2010 – nella quale in oltre tredici anni di attività e solo in questo centro, abbiamo assistito circa 400 bambini. Da un lato con la riabilitazione, intervenendo sui ritardi, e dall’altro con la psicoterapia per quegli abusi che producono traumi pesanti nella sfera psico-affettiva. In che misura la famiglia può essere un fattore di rischio? È ovvio che il 91% dei casi che trattiamo riguarda bambini abusati all’interno della propria famiglia. E’ chiaro quindi che la famiglia presenti fattori di rischio comuni come l’alta conflittualità familiare (44%), deprivazione materiale o economica (23%), patologie psichiatriche di uno o entrambi i genitori, patologie da dipendenza, droga o alcool, ma in quasi tutte le storie familiari troviamo eventi di traumatizzazione infantile dei genitori. Questo èil dato comune che emerge: che a loro volta i genitori sono stati vittime di abusi. La letteratura scientifica lo definisce “abuse cycle”, ciclo dell’abuso. Un bambino maltrattato ha un’alta probabilità di diventare da adulto un genitore maltrattante, se non si interviene in tempo. Non in tutti i casi è necessario l’allontanamento, anzi in alcuni casi l’accompagnamento deve interessare tutta la famiglia. Occorre che i servizi intervengano sia in prospettiva di crescita del bambino, sia per consentire alla famiglia stessa un recupero adeguato. Quanto è importante la prevenzione? Il maltrattamento di solito si genera fi n dai primissimi anni di vita del bambino, e quindi riuscire a seguire la madre a rischio fin dalla gravidanza e magari aiutarla in un percorso fino ai primi 2-3 anni di vita del bambino, anche a casa, potrebbe essere un intervento che i consentirebbe di prevenire. Invece i servizi che in questi anni si sono maggiormente sviluppati e pure fanno ancora fatica ad esistere, sono i servizi di protezione, cioè quelli che intervengono dopo che l’abuso si è verificato. Anche i servizi sociali di base oggi intervengono sulla patologia, laddove il problema si è ià creato, a riparare il danno. La frontiera del servizio sociale dovrebbe essere invece proprio la prevenzione, riconvertire soprattutto i servizi di base verso un ‘intervento preventivo, cercando di sviluppare tutte le risorse per prevenire il maltrattamento. La scuola come può inserirsi in un circuito di educazione e prevenzione? Nella scuola siamo ancora all’anno zero su questo tema. Da un lato, abbiamo insegnanti che lo avvertono in maniera forte: l’epidemiologia dell’abuso, secondo il Consiglio d’Europa dice che 1 bambino su 5 è vittima di abuso e la statistica generale europea stima 7 bambini a rischio su 100. E’ chiaro che chi opera a contatto con i bambini, come gli insegnanti, lo avverte, ma non c’è una adeguata preparazione per affrontarlo, perché l’argomento della violenza è in qualche modo ancora un tabù, si tende a rimuovere anche l’eventualità. I casi di cronaca parlano spesso di “mostri”, in realtà sono persone normali come il vicino di casa. Il comportamento maltrattante è ancora abbastanza radicato e diffuso, se si pensa che fino a poco tempo fa, ma ancora oggi, noi tolleriamo le punizioni corporali sui bambini. C’è tutta una corrente di pensiero che lo ritiene un metodo non solo lecito, ma anche efficace (il famoso sculaccione). Il lavoro culturale è ancora all’inizio, occorre un cambiamento di prospettive, per saperne di più. Nelle società occidentali si assiste anche al paradosso di bambini iper curati, iper nutriti, viziati. La patologia delle cure- ipercura o sindrome di Munchausen – laddove le cure diventano eccessive è un’altra forma di maltrattamento, come nel caso di genitori iper protettivi che somministrano cure eccessive anche farmacologiche per malattie non reali. La genitorialità vive su un equilibrio molto difficile. A questo proposito stiamo cercando di promuovere corsi di sensibilizzazione delle famiglie per una genitorialità positiva. Quanto è difficile essere genitore? Specie nella società italiana c’è l’idea diffusa che si possa essere genitori per istinto naturale, invece non è così. Bisogna imparare ad esserlo. Parlando con chi ha due o tre fi gli capita di sentire frasi come: “Tutti gli errori che ho fatto con il primo con gli altri non li ho fatti”. Certo hanno imparato a spese del primo! Uno degli interventi più importanti della prevenzione, utilizzati nei programmi internazionali che stiamo cercando di portare anche in Italia parte proprio da uesto presupposto. A seconda dei bisogni delle famiglie, dare informazioni di diversa tipologia: dal livello informativo divulgativo al livello che mira alla formazione, all’educazione familiare fino alla consulenza e all’assistenza vera e propria. Oggi dobbiamo andare sulla prevenzione diffusa e primaria che si prenda carico della genitorialità prima ancora della famiglia. I corsi di preparazione al parto sono impostati principalmente sugli aspetti biologici, però un bambino lo si aspetta anche a partire dall’attesa psicologica e dalla voglia di concepirlo. E si torna sempre alla prevenzione. È più costoso prevenire o curare? In realtà la prevenzione costerebbe meno della riparazione. Un bambino maltrattato o abusato andrà probabilmente da adulto a riempire ospedali o carceri con dei costi elevati per lo stato. Ci sono studi sui costi sociali della violenza ormai che hanno ampiamente dimostrato questo assunto. Se solo si capisse che attraverso l’investimento sulla prevenzione si avrebbe un considerevole risparmio di spesa pubblica, e i bambini avrebbero quella qualità della vita che li porterebbe a diventare adulti sani, responsabili e socialmente produttivi anche intermini economici. Nel 2011 organizzeremo un corso di perfezionamento in tecniche della prevenzione della violenza all’infanzia. Sulla prevenzione siamo veramente all’inizio. Ma per prevenire è necessario anche conoscere i fattori di rischio e l’esito degli interventi. Il nostro paese non ha un sistema di monitoraggio nazionale dei casi di abuso e maltrattamento. A differenza dei sistemi che ci sono in Francia, Spagna e Regno Unito. Tra l’altro è uno degli obblighi previsti dalla convenzione Onu a cui il nostro paese non ha mai dato seguito. C’è una carenza di dati conoscitivi sulla epidemiologia della violenza, dati limitati a realtà territoriali circoscritte ma non organicamente raccolti. Questo ci porta ancora oggi a non conoscere bene i fattori di rischio che determinano la violenza nelle varie aree del paese, e se non partiamo dal capire i perché non possiamo sapere neanche quali strumenti usare per verifi care l’effi cacia degli interventi. Un problema ulteriore è che, per effetto della crisi economica, la trascuratezza dei bambini aumenta. Sebbene i cicli economici negativi non abbiano una forte incidenza sugli abusi sessuali, ne hanno invece sulla trascuratezza, perché genitori senza lavoro non possono più garantire un mantenimento adeguato ai figli. La crisi economica ha inciso sostanzialmente sia su questo aspetto, provocando un aumento di casi specifici, sia sulla riduzione delle risorse sociali. Il fondo per le politiche sociali è stato tagliato. Erano già fondi insignifi canti rispetto ai capitali impegnati, ad esempio, per le missioni militari. Quando viene a mancare anche il minimo è chiaro che il numero dei casi è destinato ad aumentare. Gli indicatori di benessere dell’infanzia e dell’adolescenza dicono che l’Italia è al 19esimo posto in Europa.