Giudici americani e procuratori italiani sul mercato degli uteri in affitto.
Vanno in America, comprano due figli, pagano una donna perché li partorisca, le impongono contrattualmente di rinunciare per la vita a qualsiasi contatto o pretesa su due bambini, due gemellini. Il giudice californiano ratifica e sancisce. Poi, freschi freschi di vidimata paternità, tornano in Italia, a Gabicce dove il Sindaco, “fidandosi di quanto registrato dal giudice americano” trascrive i bambini, in anagrafe del Comune, come “figli” dei due padri gay che li hanno comprati in America. Ma segnala la cosa alla Procura, per scrupolo. La Procura di Gabicce invece impugna immediatamente l’atto con riserva di chiederne l’annullamento.
La Procura vuole sapere chi sia il loro padre biologico, arrivando fino a chiedere il test del DNA se necessario, e verificare i passaggi che hanno portato a questa ennesima compravendita di esseri umani, che in questo caso è costata “come un appartamento al mare” e per la quale la madre surrogata ha dovuto dichiarare di “non voler avere alcuna responsabilità o diritti sui bambini e la loro vita futura” e soprattutto di “aver preso questa decisione nella massima libertà”, conditio sine qua non, quest’ultima, affinchè il giudice americano potesse registrare i due uomini quali “padri” dei bambini.
L’avvocato che difende la coppia, come da prassi, argomenta con “l’amore” che ha mosso la compravendita perché “va salvato il principio di famiglia che ama e cresce i figli”. Specialmente quelli che al mercato, per molto più di due soldi, il padre comprò.