In citta’ si scopre un ceto imprenditoriale che punta sull’editoria. Proprio quando i giornali stampati sono in difficoltà e perdono copie. Quando si impone la separazione netta fra libera informazione e affari. Vediamo, dunque, quali prospettive ci sono per vincere un’ impresa che si prospetta difficile, rivolgendo alcune domande al giornalista-scrittore Marcello Martelli, uno che l’argomento lo conosce in profondità. D- Un fatto nuovo in città: imprenditori che diventano
editori. Vorrei avere su questo una opinione da un maestro della professione e da un pioniere, primo fondatore in Abruzzo di un giornale-panino (Le Notizie-La Stampa) nel 1994. “In tempi di crisi e di sfi ducia è indubbiamente positivo che in una piccola città della media provincia italiana una cordata di noti imprenditori si faccia avanti per rafforzare la compagine societaria di un quotidiano a diffusione provinciale. Un evento positivo, che depone a favore di un ceto imprenditoriale in passato abituato a investire in iniziative di sicuro profitto e garantito ritorno politico-affaristico”. D-Invece, ora, improvvisamente, è cambiato tutto? “Vediamo. E’ noto che donne e giornali (me lo ripeteva spesso un vecchio imprenditore mio amico) sono scelte sicure per perdere soldi. Ne guadagnano, invece, sicuramente la cultura e l’informazione. In particolare la carta stampata, che in tempi non rosei del settore trova ossigeno per aff rontare, come promettono, un “nuova avventura”. Che, da vecchio navigante del mestiere, auguro di successo. Mentre grandi gruppi nel mondo si accingono, com’è noto, a concentrare sul web molte delle risorse. Il crollo delle vendite dei giornali, purtroppo, continua: nel settembre scorso i due maggiori quotidiani italiani Il Corriere e Repubblica hanno registrato una fl essione del 3,4% e 5,6%”. D-Dunque? “Continuare a investire sulla carta stampata è positivo. Se non altro, per quanto ci riguarda, denota la presenza di imprenditori che promuovono valori di cui la società attuale avverte stringente necessità. Peccato, però, che una iniziativa ambiziosa sia nata con una omissione e un errore”. D-Vediamo di cosa si tratta. “Nel presentare l’iniziativa era forse opportuno ricordare un precedente che fa parte della storia della città. Diciassette anni fa, proprio a Teramo, vide la luce il tandem Le Notizie-La Stampa, allora una novità assoluta nel giornalismo italiano. Posso dire che quella esperienza ha fatto scuola, anche per i tanti giovani giornalisti che vi si formarono e che sono entrati poi nella professione. Alcuni hanno fatto una bella carriera. Due bravi colleghi, Agostino Gramigna e Roberta Scorranese, per esempio, lavorano al Corriere della Sera”. D- Qual è, invece, l’errore commesso? “Aver attribuito genericamente a Potito Randi la nascita del primo giornale quotidiano della città. Da geniale imprenditore colto e lungimirante, che ora la città sta ricordando con opportune iniziative celebrative, Randi credeva molto nel progetto di un quotidiano abruzzese. Quando, nella nostra regione, non esisteva un organo d’informazione locale. Il Centro doveva ancora nascere ed è arrivato solo nel 1986. Circostanze e problemi vari impedirono all’imprenditore Randi e a me di realizzare l’iniziativa. Insieme avevamo creato la Edigrafi tal, portando in città la prima rotativa per la stampa di un quotidiano. Il progetto editoriale fu ripreso in seguito da me e realizzato nel 1994 insieme con La Stampa di Torino. Un evento storico per Teramo. Però, certi settori più retrivi della città scelsero di avversare l’iniziativa. Fra tanti amici e sostenitori, c’era purtroppo persino chi la mattina si recava puntualmente in edicola, non per acquistare il giornale della città, ma per controllare se fi nalmente avesse cessato le pubblicazioni. Questa l’amara verità”. D-Una verità da ristabilire, anche per avere titolo a ornire qualche consiglio non richiesto. “Per l’esperienza fatta, posso dire che a quanti investono nell’editoria giornalistica spesso sfuggono due aspetti determinanti: che l’editoria professionale e di qualità costa; che i bilanci, quasi sempre, chiudono inizialmente in perdita, se vengono rispettati gli organici e le tariff e sindacali; che i riscontri positivi dipendono dagl’investimenti (certamente, non pochi spiccioli) e dal tipo di prodotto che si offre”. D-Insomma, stampando giornali, non si fanno profitti. Politicamente, però… “Andrei cauto, anche sotto questo aspetto. Intanto, è cambiato un po’ tutto. Va preso atto che la politica non ha più soldi pubblici (così, almeno, dovrebbe essere) per fi nanziare imprenditori-editori amici. Il clima è diverso, alla luce di quanto abbiamo visto accadere in particolare nella nostra Regione. Dove due governi regionali sono caduti, travolti dagli scandali. Ora possiamo avere la certezza di un fatto: che abbiamo una opinione pubblica e una magistratura sempre più guardinghe e attente”. D- Ma che c’entra tutto questo con l’editoria? “C’entra…centra. Con l’autonomia dell’informazione e dell’editoria dalla politica clientelare e aff aristica, si può tornare, come auspicato da molti, al vero giornalismo. Quello che porta lettori ai giornali e ascoltatori alle tv. Ovvero, una informazione libera. Cioè non legata ai soliti furbetti, che si improvvisano editori, per compiacere i politici amici. L’informazione libera resta il cardine della nostra malandata democrazia e da qui urge ripartire, considerato dove sono arrivate le cose. Posto che solo notizie e inchieste scomode sono pilastri sicuri su cui, alla lunga, si tengono i bilanci di un’azienda editoriale”. D-Ha senso parlare di “informazione libera”, oggi? Non è utopia? “Democrazia, libertà, indipendenza. Sono valori fondamentali irrinunciabili di una società avanzata. Gli stessi valori su cui sostanzialmente poggiano i bilanci sani di un’azienda editoriale. Gli esempi positivi del resto non mancano…”. D-D’accordo, ma c’è una strada precisa per uscire dall’attuale situazione critica i un settore ritenuto importante? Andiamo nel concreto. “Il problema di fondo è come ridare credibilità ai giornali. Dovevano essere un contro-potere, ora sono tutti schierati, dall’una e dall’altra parte. Si calcola che almeno 3 cittadini su 4 non credono a ciò che leggono. Il sondaggio reso noto nel 1984 e non credo che ora la situazione sia migliorata. I lettori dei quotidiani sono pochi e, cosa più grave, sono sempre gli stessi, da trent’anni a questa parte. Anzi, sono diminuiti. La maggioranza dei cittadini neppure si avvicina all’edicola per acquistare un quotidiano. Le vendite aumentano solo quando c’è un fatto di nera e, di più, quando viene estratta una lotteria e la diffusione delle copie può aumentare anche del 40-50%. Per gli altri giorni dell’anno, l’indiff erenza per quanto accade nel mondo è pressoché generale. La maggioranza si accontenta dell’informazione generica dei telegiornali”. D-Concludendo, quella dei giornali stampati è una battaglia persa? “Nonostante tutto, penso invece che ci sia molto da fare. Specie per conquistare alla lettura dei giornali e avvicinare all’edicola la massa enorme di non-lettori. Cioè di quanti (e sono milioni) non hanno mai preso in mano un quotidiano”. D-Un’impresa titanica… “Può essere viceversa un’impresa esaltante conquistare questo pubblico, il più disponibile forse ad apprezzare lentamente un giornale che non sia una resa ai disvalori del compromesso e della meschinità. Una scommessa difficile, ma non impossibile creare un bel giornale, che sia anche un buon giornale. Ricordo che, fra gli altri, ne era convintissimo Gaspare Barbiellini Amidei, maestro del mestiere e mio direttore a Il Tempo”, che su questi temi ha scritto un libro bellissimo”. D- Occorrono alcuni ingredienti fermi, immagino…. “Certo. Fondamentali sono gl’ingredienti della competenza e della qualità, che non si improvvisano. Posto che quella del web non è una guerra contro la carta stampata. Anzi, un’alleanza. Per aff rontare il futuro con ottime prospettive”.