In un soffuso pomeriggio autunnale ho ammirato forse la prima volta il nostro Castello. Non lo avevo mai guardato bene, né mi ero soffermato a osservarne le ferite del tempo e soprattutto dell’incuria. È il castello “Della Monica”, famiglia che a Teramo non ha bisogno di troppe presentazioni. Raggiungo Alberto Melarangelo agli inizi del cosiddetto “borgo” e, dopo una stretta di mano, il giro comincia.
“Il castello fu terminato intorno ai primi del 1900” spiega Alberto, “e si articola, come vedi, in più parti. Qui siamo nel borgo,
in parte abitato, dove probabilmente ci sono ancora dei contenziosi per usucapione di privati col Comune”. Prendo nota e chiedo: “Con il Comune? Non con la famiglia Della Monica?” “No”, risponde Melarangelo. “Il castello fu donato dalla famiglia Della Monica al Comune con un permuta in terreni intorno agli anni ’80, in cambio – naturalmente – della restaurazione, ancora mai avvenuta nel vero senso del termine. Comunque, dicevamo… si tratta di un edificio molto particolare: è uno dei pochi esempi di revival gotico in Italia, costruito dallo stesso Gennaro con mirabile eclettismo, prendendo elementi di spolio da diversi ruderi e creando elementi decorativi ad imitazione degli stessi.” Alberto addita subito una severa Madonna col Bambino, stemmi araldici, una testa di gargoyle che troneggia su di un’architrave. Ecco che mentre scatto delle foto ci si fa incontro un signore con l’aria cordiale e distinta. Saluta subito Alberto Melarangelo, che ci presenta. Si tratta del signor Cavacchioli, 87 anni, il quale esordisce dicendo: “Io tra queste mura ci sono nato. Mi ricordo ancora quando la signora del castello usciva, portandosi dietro tanto di paggi e passando sul tappeto rosso.” Subito indica un piccolo edificio spiegandone la funzione di stanza della servitù. Poi si lancia in un fiume di ricordi ripercorrendo alcuni episodi di quella vita, quando il castello era nel suo splendore. “Ormai è abbandonato…”, soggiunge con amarezza. Completiamo intanto il giro in tre e saliamo ad osservare una parte del giardino. Melarangelo mi precisa subito: “Qui, in questo giardino, nel ’99, con altri miei colleghi abbiamo allestito la prima vera mostra d’arte contemporanea a Teramo. Il giardino è davvero grande, ma da quella volta in poi non è stato più utilizzato. Il fatto è questo: il castello è bellissimo, ed ha un’incredibile importanza storica per Teramo. Solo che nessuno nelle amministrazioni passate e attuali ha saputo esattamente cosa farsene di tutto questo complesso: quello che manca è un vero progetto, che recuperi tutta la zona. Chiaramente l’edificio centrale non può che essere adibito a museo, essendolo già in sé per sé. Tuttavia si possono valorizzare anche gli edifici del borgo e lo stesso giardino, uno dei rari luoghi verdi nel centro storico.” Subito mi viene in mente la possibilità anche di un bel ristorante in una zona così suggestiva. “Dopo quella mostra” continua Melarangelo, “inviammo al Comune migliaia di cartoline con la scritta EMERGENZA ARTE A TERAMO: SALVIAMO IL CASTELLO! E qualcosa, devo dire, si mosse.
Una prima parte dei restauri fu avviata. Solo che, mancando un progetto, ripeto, nessuno sa poi bene cosa farsene. Ma è davvero scandaloso che in trenta anni non si sia fatto quasi niente. Qui non si tratta di parti politiche: il Castello è un bene artistico di tutta Teramo e si sta logorando irreparabilmente.” Con lo sguardo mi soffermo sopra le statue malinconiche a guardia di un edificio ormai preda di vandali, ladri di antichità e animali. Dalle finestre senza vetri entra di tutto; e pioggia, freddo e vento non fanno certo complimenti. Eppure, come mi faceva notare Melarangelo, un posto così bello potrebbe davvero diventare un centro privilegiato per la produzione e fruizione artistica di arte classica e contemporanea, sempre considerando la forte attrazione turistica che susciterebbe se fosse ben restaurato. Ma si sa, valorizzare quanto già abbiamo è un arte che facciamo fatica ad imparare. E allora, cemento ovunque.
Così, dopo qualche ultima rilfessione, salutiamo il signor Cavacchioli, restato con garbo in nostra compagnia. Congedandosi ci dice: “Mi raccomando, fate qualcosa. Io mi sento il primo cittadino del Castello. Non posso vederlo così.” Raccogliamo le sue parole e scendiamo in direzione di piazza Garibaldi. Nel salutarsi ognuno esprime la tacita speranza che si possa davvero fare qualcosa.