IL BELLO E IL BRUTTO DELLA “BESTIA”
di Mira Carpineta
In un Paese come l’Italia, in perpetua campagna elettorale, l’avvento delle piattaforme digitali, sublimato dal biennio pandemico, ha segnato una rivoluzione nella comunicazione politica. Tutti i leader di partito e di governo si sono dotati di agguerritissimi staff di esperti pronti a cavalcare le grandi potenzialità della rete.
Per quello che gestisce i profili social dell’on.le Salvini è stato coniato il nome de “la Bestia” tanto è stato dirompente l’impatto che ha rappresentato in termini, percentuali, di consensi e interazioni.
La costante presenza di interventi, nell’arco di una giornata, ripetuti quotidianamente, ha permesso al segretario della Lega di entrare, uscire e rientrare prepotentemente al governo nell’arco di un paio di anni.
La competizione politica ha cambiato paradigma imponendo alla comunicazione i registri dello spettacolo.
Tuttavia tanta esposizione non necessariamente è sinonimo di apprezzamento o condivisione. Se è vero che sui social chiunque può interagire con il politico di turno, gli italiani si dividono in parti uguali tra fautori e detrattori: secondo un’indagine del Censis “Il 16,8% ritiene che il ruolo oggi svolto dai social network nella comunicazione politica sia prezioso, perché così i politici possono parlare direttamente, senza filtri, ai cittadini. Il 30,3% pensa che siano utili, perché in questo modo i cittadini possono dire la loro rivolgendosi direttamente ai politici. Invece, il 23,7% crede che siano inutili, perché le notizie importanti si trovano nei giornali e in tv, il resto è gossip. Infine, il 29,2% è convinto che siano dannosi, perché favoriscono il populismo attraverso le semplificazioni, gli slogan e gli insulti rivolti agli avversari. In sintesi, i giudizi positivi sulla disintermediazione digitale in politica sono espressi da una percentuale che sfiora la metà degli italiani: complessivamente, il 47,1% “.
Quindi, se da un lato la presenza costante cattura l’attenzione, dall’altro tanta sovraesposizione mediatica può trasformarsi in un boomerang con estrema rapidità. Giancarlo Mazzucca, sul Sole24ore, scrive che “la sovraesposizione digitale di tanti politici fa sorgere qualche dubbio su quanto tempo resti loro realmente da dedicare al lavoro nel Palazzo”.
Un’altra domanda da porsi è quanti siano realmente i fans effettivi. Nell’analisi di SparkToro, che monitora il numero dei fakefollowers, e un’indagine analoga del CNR, i dati sarebbero spesso “decisamente gonfiati” dai professionisti della comunicazione che intervengono immediatamente ogni qualvolta c’è un tiro da aggiustare.
Altri elementi negativi riguardano gli algoritmi che gestiscono sulle piattaforme i rapporti personali e il conseguente appiattimento del contesto. Infatti, sebbene chiunque possa credere di poter superare le distanze tra politico e cittadino, rivolgendosi direttamente e in prima persona con l’onorevole o il governante, questa condizione non è del tutto reale.
Può sembrare, apparentemente, di poter interagire sui social, senza la tradizionale mediazione giornalistica, mettendoci la faccia, la propria opinione, così come il politico, con i suoi post, si rivolge direttamente al pubblico. In realtà si tratta di una comunicazione falsata, parallela e orizzontale gestita da algoritmi specificatamente formulati che finiscono per appiattire e generalizzare il dialogo, con slogan più o meno sintetici e ripetitivi.
Su queste “bacheche” virtuali non esiste contraddittorio tra mittente e destinatario del messaggio: il primo pubblica un argomento e sotto ognuno lascia il suo commento, senza dibattito se non quello tra i commentatori stessi.
Il compito di leggere e rispondere, magari con modifiche alla linea politica, è sempre e solo degli esperti, spin –doctor e gestori della comunicazione, gli unici in grado (forse) di orientarsi in questo nuovo dis-ordine.
La sovraesposizione quindi rischia di contribuire a far perdere credibilità alla politica, perchè il consenso ha una vita temporale più breve, può essere conquistato velocemente, ma altrettanto rapidamente può scemare.
La politica virtuale infine, non potrà mai sostituire completamente la relazione personale, il contatto umano, concetti di cui, nella politica reale, non è possibile fare a meno.