Con gli auspici del Presidente tedesco Steinmeier e del cardinale Marx
di Antonio Bini
L’AQUILA – La piccola comunità abruzzese di Filetto, frazione del comune dell’Aquila, ha accolto Rainer Schnitzer, borgomastro di Pöcking, giunto in Abruzzo per partecipare alla commemorazione di 17 civili uccisi per rappresaglia il 7 giugno 1944, dopo l’uccisione di un tedesco nel corso di uno scontro a fuoco con un gruppo di partigiani della banda “Giovanni Di Vincenzo”. Accompagnava Schnitzer una qualificata delegazione, comprensiva di Wolfram Staufenberg e Albert Luppart, rispettivamente, secondo e terzo sindaco della cittadina bavarese.
Quella di Filetto è una vicenda intricata che racchiude molteplici aspetti umani e storici. Il dramma è stato sempre vissuto intensamente dalla piccola comunità, che soffrì anche la devastazione, l’incendio di molte case, razzie e furti. Ci vollero due giorni per spegnere l’incendio del povero paese di montagna, a 1.070 m. di altezza, situato a 18 km da L’Aquila, che allora contava 650 abitanti, in genere pastori e contadini. Molti per sopravvivere alla miseria emigrarono. Oggi sono rimaste poco più di cento persone, inevitabilmente legate a quei morti.
Il paese si sentì estraneo all’uccisione del militare tedesco perché non avvenuto per mano di uno della comunità che fino ad allora aveva stabilito buoni rapporti con tedeschi che vivevano a Filetto, tanto che viene tuttora ricordato come uno di loro il maresciallo Hermann Schafer, responsabile del presidio che, nel tentativo di fermare l’inizio della rappresaglia, venne ucciso da un commilitone, tra quelli giunti in forze da Paganica e altri centri. Peraltro, precedentemente non erano mancati gravi episodi. Tra questi si segnala l’uccisione a freddo, nel novembre 1943, di un pastore quindicenne al pascolo nei pressi del paese.
Nel 1969 la storia dell’eccidio riemerse improvvisamente dall’oblio per effetto di un articolo pubblicato dal settimanale Der Spiegel del 7 luglio 1969 dal titolo “Crimini di guerra. Il vescovo Defregger. Piombo teutonico”, che metteva in evidenza il passato del capitano Matthias Defregger – presentato come criminale – che dopo il ritorno in Germania entrò in seminario per diventare sacerdote nel 1949. Una scelta conseguente al tormento seguito alle vicende della guerra e di quella strage. La consacrazione a vescovo e quindi a vicario dell’arcivescovo di Monaco di Baviera, cardinale Julius Döpfner, suo sostenitore, trasformò mons. Matthias Defregger in un bersaglio dei media.
Del paese abruzzese, in realtà, interessava molto meno. La lettura della stampa dell’epoca e del saggio “Morte a Filetto”, ed. Mursia, Milano, 1970, curato dal Aldo Rasero, maggiore degli alpini e comandante partigiano nell’area, si percepisce una strumentalizzazione dell’eccidio contro la chiesa tedesca. Se fosse rimasto un semplice sacerdote forse non si sarebbe più parlato dell’ex capitano e di Filetto.
Non è questa la sede per andare oltre ad un accenno a quelle vicende, ma è opportuno segnalare come da fonti tedesche riprese nell’autorevole saggio di Costantino Felice, “Dalla Maiella alle Alpi: guerra e resistenza in Abruzzo”, ed. Donzelli, Roma, 2014, l’ordine del maggiore, poi generale, Hans Boelsen a Defregger di “incendiare il paese e fucilare tutti gli abitanti maschi”, venne rifiutato, tanto da essere stato minacciato di morte. A quel punto la sorte dei filettesi era segnata. Seguì un ordine ufficiale, che Defregger delegò al sottotenente Paul Ehlert, il quale avrebbe a sua volta delegato un caporal maggiore, rimasto anonimo, che mise in atto la strage.
Pare che Defregger, che non era presente, abbia cercato di ridurre il numero delle vittime rispetto allo sterminio voluto da Hans Boelsen, primo responsabile della strage, che si ripeté solo quattro giorni dopo, ordinando un massacro nella vicina frazione di Onna. Una vicenda dimenticata che riemerse solo dopo il terremoto del 2009 che sconvolse la piccola frazione, provocando morti e distruzioni, che non lasciarono indifferente la Germania. Il sanguinario Boelsen il 22 giugno 1944 si macchiò anche della strage di Gubbio, dove furono assassinati 40 civili. Der Spiegel e altri media ignorarono il ruolo determinante di Boelsen, deceduto nel 1960.
I media si occuparono di quel tragico eccidio avvenuto in quel “paesetto montano” (Der Spiegel), con molti giornalisti che cercarono invano di intervistare mons. Defregger e lo stesso card. Döpfner. Una cortina di silenzio si innalzò da parte della chiesa bavarese. Solo qualche dichiarazione si riuscì a strappare a Defregger pressato da giornalisti e tv che parlò di quella drammatica vicenda come di “un terribile peso per la sua anima”. La consegna del silenzio si estese addirittura dalla chiesa bavarese a quella aquilana. Tanto si evince dall’articolo di Gian Franco Vené pubblicato su L’Europeo del 14 agosto 1969. Il giornalista incontrò il parroco di Filetto, don Demetrio Gianfranceschi, che chiarì: “Il mio vescovo mi ha chiesto il silenzio”.
Si saprà invece che il parroco era impegnato affinché tra i filettesi emergesse il desiderio della riconciliazione. Ricevette anche la toccante lettera di Berta Schreiner, vedova del sergente rimasto ucciso, che a 25 anni dopo la morte del marito Adolf, insieme ai figli, Rudolf, Manfred e Hans, scrisse di perdonare chi aveva colpito a morte il marito. Don Demetrio si recò anche a Monaco insieme ad alcuni parenti delle vittime per incontrare lo stesso Defregger che aveva già dato la sua disponibilità a dimettersi da vescovo. La scelta del silenzio in ambito pubblico fu da ritenere inopportuna, tanto per i familiari dei civili morti che per l’immagine della chiesa bavarese e per lo stesso Defregger. I filettesi non intesero concedere alcun perdono senza un segno di pentimento, senza una richiesta di perdono e una parola di pietà per i morti.
Anche in quelle settimane, in cui la vicenda era all’attenzione dei media internazionali e poi durante la lavorazione del film “Quel giorno Dio non c’era” (Der Tag, an dem Gott nicht da war), di Osvaldo Civirani, la piccola comunità rimase dignitosamente chiusa nel suo dolore, non desiderando alcuna notorietà per quella tragedia.
Dopo la morte di Defregger, avvenuta nel 1995, il comune di Pöcking, cittadina di 5600 abitanti sul lago di Starnberg, dove l’ex capitano visse appartato in una proprietà di famiglia, decise di dedicargli una piccola strada vicina al cimitero per ricordare il religioso che era stato rispettato e stimato dalla popolazione. Lo scorso anno la storica Marita Krauss, scrivendo un saggio sulla storia della cittadina segnalò al sindaco come quella denominazione fosse discutibile per il controverso passato del vescovo. Da qui la decisione del sindaco di avviare contatti con Giovanni Altobelli e con il prof. Domenico Cupillari, presidente del Centro Sociale per Anziani di Filetto per sondare la possibilità di vedere accolta una delegazione guidata dallo stesso borgomastro in occasione della commemorazione del 7 giugno. Il prof. Cupillari, promosse un’assemblea che valutò positivamente la richiesta.
L’anniversario è stato quindi celebrato insieme alla rappresentanza tedesca, con la partecipazione della sezione alpini di Camarda, dalla delegazione dell’ANPI dell’Aquila e del consigliere Leonardo Scimia, su delega del sindaco dell’Aquila. La celebrazione della messa è stata presieduta da don Domenico Marcocci, nativo di Filetto. Nella sua omelia ha sottolineato i valori universali della pace e del perdono, facendo notare ai presenti che il calice con cui celebrava messa era stato donato dalla Arcidiocesi di Monaco. A seguire si è formato un corteo verso il cimitero preceduto dagli alpini che ha poi sostato davanti al modesto monumento che ricorda l’eccidio, realizzato grazie ai denari inviati dagli emigrati in America.
Dopo le note del silenzio, il sindaco Rainer Schnitzer ha deposto una corona d’alloro, con il picchetto di due carabinieri, per poi salutare i presenti, spiegando che da bambino era stato chierichetto di mons. Defragger e che a distanza di anni ha capito che l’ex capitano non si era mai recato a Filetto, né aveva chiesto perdono. Con voce commossa ha detto: “Questo gesto lo vogliamo recuperare oggi. Siamo qui per commemorare e onorare le vittime”. Un gesto sentito, accompagnato dagli applausi e seguito dalla lettura dei messaggi del presidente della Repubblica federale tedesca e del cardinale di Monaco di Baviera, diretti al sindaco di Pöcking e alla comunità di Filetto, letti in italiano dalla prof.ssa Monika Hutmacher e dalla giornalista Sandra Sedlmaier.
Al termine della lettura il sindaco ha ricevuto l’abbraccio del giovane segretario dell’ANPI Tommaso Cotellessa che gli ha donato il suo fazzoletto tricolore. A seguire il pranzo preparato dalle donne e dagli uomini di Filetto. Piatti e bicchieri sono di plastica, le panche spartane, ma il calore umano e la sincera ospitalità della gente di Filetto sono senza pari. Palpabile l’impegno della v. presidente del Centro Sociale per Anziani, Antonella Marinelli, impegnata in prima persona, dopo la scomparsa del prof. Cupillari, avvenuta i primi di maggio. Nemmeno un manifesto ha segnalato lo storico evento che è stato volutamente vissuto in forma intima, ma non per questo meno solenne, dalla sola piccola comunità.
Tornando ai messaggi, parole nette quelle espresse dal presidente Frank-Walter Steinmeirer che ha scritto come “sappiamo sempre troppo poco dei crimini tedeschi commessi in Italia. Le vittime, i loro discendenti, i superstiti hanno il diritto di non essere dimenticati”, ammettendo di sentire “vergogna di fronte a crimini come quello di Filetto, ma anche gratitudine per il fatto che le nostre amiche ed i nostri amici italiani accettino così generosamente le nostre richieste di perdono e che ci invitino a piangere per le vittime insieme a loro.” Il suo messaggio va anche oltre l’eccidio di Filetto e fa pensare alla scia di sangue lasciata dai tedeschi in Abruzzo e in Italia.
Ma un rilievo specifico assume la lettera del cardinale Reinhard Marx diretta “ai cari cittadini di Filetto”, letta anche in chiesa, in cui, interrompendo il lungo silenzio della chiesa bavarese, ricorda – alludendo all’Ucraina – “come il significato della guerra ci appare ancora una volta terribilmente chiaro”, esprimendo il desiderio di essere idealmente con loro “nella commemorazione delle vittime innocenti, nelle sofferenze inflitte e nel rispetto di un faticoso percorso di comprensione tra tedeschi e italiani.” Il cardinale non evita di entrare nel merito della vicenda di mons. Defregger ponendosi l’angoscioso interrogativo “se non ci fosse una via d’uscita dal dilemma in cui si trovava” che resta senza risposta, ammettendo comunque come sia necessario “esaminare criticamente il comportamento del vescovo Defregger prima e dopo il suo percorso religioso e fare i conti con esso”. E con la storia.
Il lungo e travagliato cammino verso la pace e la riconciliazione è venuto a compiersi quando il paese è ormai spopolato, come tanti paesi della montagna abruzzese, mentre molti di quelli che avrebbero desiderato partecipare a questo atteso momento non ci sono più.
Ma occorre dare merito al sindaco Rainer Schnitzer per aver promosso l’incontro e cercato di coinvolgere nell’iniziativa così importanti livelli istituzionali in Germania quando è riemerso ancora una volta il passato dell’ex vescovo. Proprio per la stima e la sua conoscenza diretta ha sentito di farsi umilmente carico della richiesta di perdono in luogo del vescovo innanzi alla comunità di Filetto, mentre come borgomastro, ha inteso dare un segnale pubblico di attenzione che rendesse concreto e attuale il desiderio di pace tra Italia e Germania per una nuova cultura della memoria, dopo il nazismo e le tragedie della seconda guerra mondiale. Un gesto encomiabile, non solo perché non era tenuto a farlo, ma ancor più perché della seconda vita di Defregger aveva ed ha tuttora un ricordo positivo, di persona carismatica e di efficace predicatore che rimarrà senz’altro nella sua sfera personale e forse di molte altre persone. A livello pubblico ha annunciato che in un prossimo consiglio comunale informerà della visita a Filetto e avanzerà la proposta di revocare la denominazione della strada. Una storia esemplare che induce a riflettere.