Che la politica attraversasse un periodo di crisi profonda, lo testimoniavano già ampiamente le cronache dei più equilibrati giornali esteri e nostrani. Tra epiloghi giudiziari ed empasse di programma della politica rappresentata, una buona fetta dei cittadini aveva già deciso di esimersi dall’elettorato attivo. Nell’ ultima tornata regionale, solo la metà degli elettori ha onorato il diritto costituzionale esprimendo
opinione di voto. Ma cosa pensano i teramani della politica? Hanno smarrito ogni forma di credito riposta in essa, oppure sono immuni alle vicende di basso o alto rango che conquistano, sovente, le cronache dei quotidiani locali? Per orientarci e meglio comprendere la percezione dei cittadini, abbiamo – attraverso una prima sperimentazione – lanciato una random survey tra i cittadini teramani. Abbiamo posto loro 6 domande, aventi per focus questioni ritenute significative circa l’attività del governo, l’orientamento elettorale, la valutazione dei neo-movimenti FLI e SEL, la percezione circa l’atteggiamento dei media rispetto al dovere di informazione. Per analizzare i dati del sondaggio, abbiamo interpellato il sociologo teramano Gianni Di Giacomantonio, docente di sociologia generale all’Università de L’Aquila. Professore, le risultanze della nostra indagine cosa evidenziano maggiormente? Al di là della metodologia adottata, l’atteggiamento che maggiormente spunta tra le risultanze oggetto di indagine è che il 50 % degli intervistati intende confermare la propria fiducia al partito già votato alle ultime tornate elettorali. Uno share elevato, se consideriamo che – a livello locale, così come a livello nazionale – siamo nel bel mezzo dei diversi mandati elettivi. Sull’attività governativa, si esprime – però – un giudizio negativo… Il 58 % del campione ritiene negativo l’operato del Governo, a fronte di un 36 % che lo giudica positivamente. Solo il 6 % si trincera dietro un non so. E’ evidente che ci troviamo di fronte un elettorato ideologicamente fragile, che non sente più di dovere alla politica e al suo mondo fedeltà ideologica e di voto. Perché, professore? Perché nei momenti di transizione storica e, soprattutto, nei periodi di crisi economica, la politica è la prima a pagare il prezzo del dissenso. Il nostro Paese è troppo lontano dal cd. principio di continuous government che rende più forti le migliori democrazie del globo. Cioè…? Nel nostro Paese, la contrapposizione si esprime sostanzialmente nelle declinazioni personalistiche, non nei programmi, nelle azioni che consentono ai cittadini di vivere meglio. Il personalismo porge il fianco ai limiti, agli errori, alle rappresentazioni strumentali. Ma la buona politica è un’altra storia. Tant’è che il 42 % degli intervistati non sa se alle prossime elezioni cambierà orientamento di voto. Fini e Vendola: le nuove leadership degli schieramenti contrapposti? Non credo. Entrambi esprimono una grande capacità di comunicazione, raccogliendo le sacche di dissenso fisiologiche in entrambi gli schieramenti. Evocano scenari simbolici e paradigmatici del senso di appartenenza a qualcosa. Nella società liquida, è un forte richiamo di fede. Gli intervistati – comunque – ripongono nel leader di destra una maggiore fiducia di quanto esprimano nei confronti di Vendola, considerando che solo il 22 % del campione lo ritiene plausibile candidato premier del centrosinistra. Informazione e politica: una relazione pericolosa? Secondo gli intervistati, certamente si. Il 62 % la ritiene troppo influenzata dalla politica. L’informazione, nell’era della comunicazione di sintesi, è lo strumento migliore per educare, formare ed influenzare le coscienze. E’ necessario che il patto sociale individui gli opportuni equilibri e le necessarie misure.