ANONIMIE DI MASSIMO PAMIO DAL 13 GENNAIO IN LIBRERIA

Dal 13 gennaio in libreria ANONIMIE (Poesie 2010-2020) di Massimo Pamio, per le Edizioni Mondo Nuovo.  Anonimie è un testo di poesia dove il ritmo e il pensiero si coniugano, in una misura personale, per affrontare i temi fondamentali della falsità dell’io, del difficile convivere umano, dell’interrogazione metafisica. Con un’antologia di letture critiche di Giovanni D’Alessandro, Rossano De Laurentiis, Daniela Forni, Erika Gazzoldi, Renato Minore, Elio Pecora, e una lettera di Gabriella Sica. L’autore raccoglie qui una buona parte della produzione poetica dal 2010 al 2020, sviluppando i temi di Bucanotte, Luceversa e Amormorio, scritti che hanno incontrato il favore dei lettori e della critica.

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Il verso di Pamio non teme di professarsi magniloquente, di coltivare la metrica (l’endecasillabo, ad esempio, come in un richiamo alla classicità), di citare riferimenti e snodi obbligati della letteratura e della poesia non solo italiane, ma di ogni lingua e di ogni tempo. La incontenibile propulsione all’azione di Achille, la politropia di Odisseo abitano queste stanze; intendendo per esse non solo le stanze poetiche, ma i fisici luoghi, su carta, in cui prendono corpo “parole sorelle amiche/ confidenti discrete pudiche/ come grani del rosario/ l’una dopo l’altra impilate/ in una torre/ a cucire il segreto della vita.

 

Così, anche con questo volto – non il ritrovamento bensì – la ricerca del sé si presenta al lettore in un poema di lunga composizione negli anni. Le tracce da riconoscere, dice Pamio, sono quelle dell’amore che è insito nelle cose e che in esse va, dall’uomo, unicamente individuato e (per)seguito, in quanto “impalpabile è vita,/ e se si nasconde, quanta verità/ con cui fa nascere e trascorrere e dimenticare”; per poi con commozione enunciare quel manifesto orfico/hoelderliniano/immanentista della sua poesia, presente nei due versi finali della strofa: “Non c’è amore più grande di quello che è già/ nelle cose, e che non si deve inventare”.

 

GIOVANNI D’ALESSANDRO

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A volte, quando leggo un libro, soprattutto di poesia, capita una specie di miracolo. Non sempre, anzi, pochissime volte e in quel caso il mondo, il suo rumore odioso e indisponente, si fa solo un sordo rumore di fondo, che scorre via, e in silenzio posso entrare in quelle altre voci che, ad agio, vivono nelle pagine del libro come fossero luoghi, case dell’anima di cui posso trovare una chiave per entrare. E come me, anche gli altri. Necessario però è lo spaesamento, serve prima di ritrovarsi, e questo continuamente, perdersi nella selva oscura che è il mondo. Serve interrogarsi, come dire bruciarsi le ali, che crediamo siano i nostri pensieri, le nostre poliedriche apparenze vuote. Ferraglia. Non è quello che aiuta. Ogni stanza di quella casa si lascia attraversare, anche se non sempre penetrare, la sua voce o la storia che la abita è, in un capovolgimento, ciò che penetra me. Capita infatti che, magari a distanza di tempo, quando meno me lo aspetto, una immagine, o un suono, o un profumo, mi viene a sottolineare un passo, là dove il mio sguardo non aveva visto, il mio orecchio sentito. Ed è come se lì dentro qualcuno fosse riuscito a esprimere tutto quanto anche io avrei voluto ma senza riuscirci, senza sapere nemmeno il modo in cui avvicinarmi a quel mondo ora palese.

 

E’ come se il linguaggio si costruisse con parametri acustici e visivi intrecciati, percepibili non dai sensi comuni, ma da una complessa intuizione che tutto il corpo vive. Istantanee le apparenze, con cui la vita si mostra, e il sogno di ognuno nel percepirla, si fondono insieme in un a visione unica, che ci consente di afferrarne l’intima sostanza. E ognuno ha la propria modalità. Questo è lo straordinario. Non è l’immagine che vive nel testo, a venire interpretata, poiché in quella ci sono così tanti legami con il mondo, ma anche con l’universo, l’infinito, anche quello che ognuno ha in sé, senza saperlo,  ma attraverso legami essenziali, propri dell’immagine stessa che se ne esce nuda, dove la realtà, senza simboli o metafore, mostra compatto il tessuto di invisibile e visibile, ciò che è il nostro vissuto  e il sogno che lo compenetra, mentre attraversiamo spazio e tempo, o il tempo che consumiamo e ci consuma per attraversare quello spazio.

 

La bellezza fiorisce così perché non c’è stata censura, niente è stato dimenticato, omesso, o messo in un posto preciso o in disparte in un angolo. Tutto è, ed è là, dentro di noi e ora lo vediamo, lo sentiamo, lo viviamo. Ma è un attimo, anche se l’effetto è durevole. Quando attraverso un testo, è come se attraversassi la carne della visione, non solo ciò che vedo, in un gioco di parole vedo la realtà reale di ciò che vedo, come se occhio e sguardo mostrassero il loro essere con-giunti. E in questi testi di Massimo Pamio, si ha la possibilità di attraversare il varco che ci porta in quell’incontro, alla profondità dell’essere, dove ogni elemento delle nostre visioni convivono. La divisione, in cui ciascuno si sente scindere tra quotidiano e sogno, nello svolgersi del tempo, si fa dì-visione, giorno in cui si vede per intero, per es-teso.

 

FERNANDA FERRARESSO

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Rinascere alla vita, nonostante i suoi orrori è l’imperativo categorico che ci dona l’astro (come è chiamato dall’Autore) della sua poesia. Davanti al Tutto che parla ed è muto, nasce lo stupore, lo smarrimento, la sofia e la poesia, che danno anche il nome di Dio a tutte le domande interminabili, cui l’atteggiamento mistico risponde col fervore della fede, e l’atteggiamento agnostico, con diversa umiltà lascia sospese.

 

Ma il Sacro è campo aperto per entrambi, imprescindibile fondamento del senso del limite e dell’etica, il cammino umano negli impervi ed esaltanti passi del pensiero moderno ha piantato lapidi con su scritto “Dio è morto”. Ma l’uomo è vivo? Pamio su questo crinale riparte dalla lapide della morte dell’uomo, eredità di un processo antropologico, senza il quale siamo nulla. In tale alveo, le domande riguardano anche la teomantica e il campo pieno di croci e orrori consegnato dalla storia. Pamio ci invita a ripartire davanti a un immane fallimento che, se è di Dio, è in primo luogo del suo presunto vertice o specie eletta della Creazione.

 

Nel circuito vitale misterioso, che continua e non ci appartiene, la morte e la vita sono due facce dello stesso Tutto, congiunte in un punto che è Amore, con mille nomi e forme al pari di ogni altro ramo e nucleo della Cosa che chiamiamo Vita. È il nome del mistero che ci dona e domina con la sua petit mort – geniale dicto-scintilla, verbale, materiale e spirituale – di nuova vita. È il campo aperto di infinite anonimie, che attendono da noi di riavere la dignità di un nome.

 

ADAM VACCARO

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NOTA BIOGRAFICA DELL’AUTORE

L’anonimo Massimo Pamio, abruzzese, saggista e scrittore, è direttore del Museo della Lettera d’Amore, museo unico al mondo, ed è direttore editoriale di Edizioni Mondo Nuovo. Cavaliere dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”, per meriti culturali. Ha lavorato nell’editoria fin dal 1978, ha diretto le Edizioni Noubs per 20 anni. Ha curato la regia del video I poeti, le città, il primo video girato in Abruzzo che mette a confronto un poeta con la propria città, indicizzato da IMDb, il database mondiale di film e audiovisivi. Ha pubblicato in volume numerose opere: in corso di pubblicazione Arrivabene/Pamio; Bisandola/Pamio (2022); Cetera/Pamio (2021); Sentirsi sentire. Che cos’è il pensare (2020), Padovani/Pamio (2020), Sensibili alle forme. Che cos’è l’arte (2019) di saggistica; di poesia: In nome della rosa (1987), Nell’appartamento confuso dei giorni (1999), Bucanotte (2008), Luceversa (2009), Amormorio (2010); Anonimie (Poesie 2010-2020) con saggi di D’Alessandro, De Laurentiis, Forni, Gazzoldi, Minore, Pecora, Sica; diverse monografie su scrittori contemporanei: Lo statuto dei labirinti (Introduzione alla poesia di Domenico Cara, 1987), Il filo lungo della parola (Contributi per una lettura di Vito Moretti, 1991), Ritmi del lontano presente (Introduzione alla lettura dell’opera di Antonio Spagnuolo, 1991), Parola etica (La poesia di Cesare Ruffato, 1999).

 

Ha curato numerose antologie letterarie: Un parco per i sogni, (antologia narrativa di scrittori sull’Abruzzo,1997), Da Tyresia a Odysseus (L’itinerario poetico di Dante Marianacci, 1997), Saramago: un Nobel per il Portogallo (con Igino Creati, 1999. Suoi testi sono stati tradotti in francese e in inglese. Ha curato monografie d’arte, scritto migliaia di recensioni e di segnalazioni di libri, film, rappresentazioni teatrali, mostre d’arte e avvenimenti culturali su riviste nazionali (Tam Tam, Dismisura, Il cavallo di Troia, Inverso, Hortus, Oggi e domani, Punto d’incontroAbruzzo letterario, Tracce, Il messaggero, Il tempo, ecc.) e internazionali (Don Quichotte, Spagna, 2 plus 2, Francia). Ha diretto la Rivista Internazionale Pandere. Ha promosso e organizzato la Corriera della Poesia, finalista al premio Telecom Bellezza, premiata da Umberto Eco a Milano. Collabora in qualità di redattore con diverse testate: Benandanti, Auralcrave, Frequenze poetiche. Organizza il premio Lettera d’amore a Torrevecchia Teatina. Ha ideato “Casa d’Autore” a Capestrano (Aquila), casa museo dove sono in mostra foto, testi, dipinti d’autore, che vuole offrire uno spazio di serenità e di riflessione, un nido per il pensiero e il cuore: tutti gli artisti o gli scienziati che vorranno usufruirne, potranno farlo, ospitati gratuitamente in cambio di un dono (una poesia, un racconto, un dipinto, una pagina delle loro ricerche) che sarà poi conservato nella casa.