Via XX settembre è riaperta in un solo senso, verso il centro. Si piomba nel silenzio, all’improvviso. Quella lunga via e quei palazzoni sembrano portati lì dall’ambientazione di un vecchio film western. Tutti con impalcature, fermi e punteruoli. Si arriva davanti ai giardini del Consiglio regionale e li’ si parcheggia.
Entrando a piedi nel centro storico da questa parte e non dalla fontana luminosa c’è un cinema sulla sinistra che senza troppa fantasia si chiama “Massimo” come il patrono della città. La locandina recita: “Gli amici del Bar Margherita”, poi in mezzo, attaccato con una puntina di plastica un pezzo di carta ormai spiegazzato, “Oggi spettacoli alle ore…”, ma gli orari non si vedono più. Più avanti il tentativo di vita di un negozio: “Cercasi commessa”. Che strano, però: il palazzo della Banca d’Italia è perfettamente intatto. Andando verso la Piazza è necessario guardarsi intorno per vedere tutti quei puntellamenti dove non lavora quasi nessuno, nonostante il giorno feriale. Per entrare in piazza è quasi doveroso bussare, quasi a non dare fastidio alla città in coma indotto. Molti di quei palazzoni giganteschi e porticati andrebbero abbattuti e rifatti, ma non si può perché sono vincolati dallo scranno inaccessibile delle Belle Arti. Si vedono molte persone che fanno una sorta di macabro turismo, fotografando il tormento; i ragazzoni dell’esercito guardano un po’ stanchi questo andirivieni, ascoltando da una parte le comunicazioni via radio, dall’altra la radio in FM. Girando dai “quattro cantoni” verso S.Bernardino si percepisce un’altra sensazione spettrale: il porticato del Bar del Corso, sempre pieno di ragazzini e qualche vù cumprà è vuoto. I negozi hanno sulle vetrine delle scritte: “Ci siamo trasferiti a…” ; “se necessario chiamare Tizio al seguente numero…” A S.Bernardino ancora puntellamenti, ma la Chiesa pare intatta nella sua facciata. Ma da dietro si scorgono immense impalcature ed operai che lavorano a centinaia di metri d’altezza. C’è ancora il bar, e quel sentimento di triste silenzio si scontra con una radio accesa a tutto volume da dove neanche a farlo apposta provengono le note di This house is empty now di Elvis Costello, e pure la TV è accesa. Tanto è stato fatto, tantissimo c’è ancora da fare. Inutile sperare, come scrivono i cartelli, in “garanzie per i disoccupati”. Già c’è la crisi, ci mancava pure il terremoto a sconquassare una cittadina di settantamila abitanti, che anche per sua natura e posizione ha un tessuto economico particolarissimo. E’ altresì strana la sensazione che si prova tra le zone “esterne” ed il centro: da una parte la vita sembra riprendere seppure un po’ sonnacchiosa, il traffico automobilistico è evidentemente calato, ma dall’altra il cuore della città ancora in corsia, caduto malamente, ma anche se si rialza potrebbe restare zoppo. Durante il G8 diversi capi di governo dei Paesi industrializzati hanno fatto promesse da marinaio: ricordino che a L’Aquila non c’è il mare.