Ci sono venuto per lavoro ma ciò nonostante la temperatura mite di un autunno non inoltrato insieme a un’atmosfera romantica di vago sapore parigino mi hanno affascinato all’arrivo in questa citta’ che ho fatto fatica a decifrare al primo impatto.
La stagione decadente con i suoi colori pastello e le sue nuvole scure era forse la piu’ appropriata per visitarla e ha sicuramentecontribuito a darmi un’impressione patinata dei viali e delle piazze che ho osservato all’ingresso in citta’. Ma la metereologia non basta: questa metropoli dell’Europa orientale, come molte sue simili, esercita indubbiamente un certo fascino sul forestiero chevi accede, la prima volta almeno.
L’architettura che spicca e’ una variante del tratto continentale della bell’epoque.
I colori circostanti gli edifici, da quelli dell’abbigliamento dei cittadini a quelli dei decori pubblici, colpiscono l’avventore perche’ sono tutti piuttosto accentuati, a sottolinearela platealita’ e la teatralita’ di una popolazione che esprime indubbiamente una vena artistica e quasi latina.
Anche la lingua che si legge sulle insegne e si ascolta per strada puo’ sembrarci di primo acchitto strana ma in fondo per noi italianiessa ha un ritmo quasi musicale e suoni indubbiamente familiari.
E’ come se ascoltassimo e leggessimo sui muri una variante del dialetto sardo o una deformazione catalana (alla Gaudi’) delle parole cui siamo abituati.
A Bucarest ti colpisce tuttavia la relativa vetusta’ praticamente di qualsiasi cosa si possa ammirare e, al tempo stesso, ti abitui prestoa un certo stile, a una discreta signorilita’ urbana d’altri tempi, a una certa autorevolezza dei palazzi, dei monumenti e degli edifici pubblici, sinanco delle chiese e delle fontane.
Ma contemporaneamente ti graffia il forte degrado di molte costruzioni d’inizio secolo, vestigia di un’infilata di svariati decenni di regime, di oblio, di poverta’ e di grigiore, durante i quali la citta’ tuttavia ha mantenuto il suo fascino, sino alla restaurazione in corso, grazie al denaro che e’ arrivato da Occidente, da tutti quegli industriali -soprattutto piccoli e medi- che hanno portato lavoro, contributi fiscali e qualche segno di nuova distinzione, insieme a tanti sexishop, casino’ e fastfood !
Indubbiamente non caratteristici ne’ di fascino tuttavia quei negozi sono anche il meglio che si intravede in giro, perche’ un vero disastro dal punto di vista estetico e di decoro sono invece gli esercizi commerciali di emanazione locale, autoctona, veri eredi diretti di un’era sovietica che sembra terminata l’altro ieri, quando essi si limitavano ad assolvere a esigenze meramente pratiche ed economiche senza pretendere di affascinare nessuno.
L’unica eccezione estetica ai miei occhi sono stati i negozi di libri usati, di oggetti d’antiquariato e d’artigianato: locali caldi e accoglienti e che rivelano una certa diffusione della cultura e dell’amore per l’arte, evidentemente sopravvissuta all’omologazione imposta all’epoca della cortina di ferro. Beh, forse non proprio l’unica perche’ a pensarci bene ce n’e’ un’altra: i ristoranti: niente male in media! Quasi tutti italiani (o presunti tali) essi sono di norma eleganti, accoglienti e puliti anche a presciindere dal loro censo sebbene, per i loro prezzi, restino quasi inaccessibili alla popolazione locale.
Ma non c’e’ troppo da scandalizzarsi se le migliori vetrine commerciali sono quelle straniere, se propongono cibi e bevande americane, se sventolano le insegne della globalizzazione, se espongono abiti italiani ed elettrodomestici coreani, tant’e’: sembra del tuttoevidente che sono proprio gli stranieri i veri protagonisti della vita urbana di questa fascinosa e pretenziosa capitale di una landa, quella rumena, tutto sommato di cultura rurale e poverissima.
Gli stranieri che hanno colonizzato il Paese, che hanno privatizzato le (poche) risorse naturali, che hanno edificato o restaurato gli immobili delle principali citta’, sono loro invero i nuovi signori, i nuovi detentori del potere e del denaro.
Magari sempre meglio dei gerarchi comunisti d’antan cui hanno sottratto il podio, ma pur sempre sul piedistallo, essi vivono di fatto separati dal resto della popolazione urbana. Girano con i loro macchinoni, restaurano palazzi e ville liberty, si aggirano per le strade accompagnati dai loro lacche’ e dalle guardie del corpo, si pregiano di grandi uffici moderni e insegne smaglianti che celebrano il loro potere economico. Mostrano insomma quei segni del benessere che essi stessi hanno portato nel Paese da poco piu’ di un ventennio.
Simboli di distinzione e di supremazia tanto agognati della popolazione locale, pochi dei quali sono invero sono divenuti appannaggio di tutti.
Per la maggior parte della popolazione quegli oligarchi forestieri sono semidei, spesso odiosi ma indubbiamente capaci di muoversi anche nei confronti della politica locale e di farsi rispettare, autori indiscussi del nuovo benessere e della restaurazione di molti degli edifici citttadini che e’ possibile ammirare andando a zonzo per la Parigi d’oriente.
Gli stranieri che vivono la vita pubblica, sociale e godereccia di Bucarest sono ovviamente raccolti tra loro in diverse comunita’: quella italiana e’ tra le piu’ numerose, ma ci sono anche I tedeschi e gli altri europei, qualche americano e qualche russo, praticamente nessun asiatico e nessuna persona di colore.
Ecco, questo lascia riflettere piu’ di molto altro: nella citta’ non esiste quasi multirazzialita’ che non sia quella d’elite.
Un segno evidente dell’arretratezza economica del Paese reale e del fatto che la maggior parte dell’attiviita’ lavorativa e’ ancor oggi rivolta alla produzione industriale ed agricola, svolta dunque altrove, nelle province, ma i cui proprietari mantengono evidentemente nella capitale il centro dei loro interessi, familiari e di business, nonche’ le loro residenze principali.
Un’ultima cosa mi ha colpito (e non saprei dire se positivamente o negativamente): e’ l’affluenza di gente variopinta che ho riscontrato nelle chiese (tanto cattoliche quanto ortodosse) alcune delle quali bellissime, ma indubbiamente oltremodo popolate di avventori,
questuanti, pensionati, vedove, addetti vari e sinanco gestori di piccolissimi empori di oggetti sacri.
Una sensazione simile l’avevo ricevuta solo in Messico, quando ero andato a visitare le cattedrali di alcune cittadine del Chapas, quello stesso luogo dove si favoleggiava il contropotere del fantomatico Subcomandante Marcos.
A Bucarest almeno nelle chiese non c’e’ chi arriva a celebrare sacrifici animali, riti woodoo o altre forme di sincretismo religioso, ma bisogna evidentemente annotare che la forte socialita’ della vita spirituale qui e’ una caratteristica sociologica di cui tenere conto, pensando ai suoi abitanti.
Se la religiosità in Romania possa sfociare o meno nel fanatismo e’ cosa che non sta a me giudicare. Certamente essa e’ molto plateale, come tutto il resto, d’altra parte, in questo Paese che ospita i Gitani per un buon quarto della sua popolazione!
In fondo se una cosa mi e’ venuta chiara nel camminare per le strade di Bucarest e’ proprio quest’ultima: che probabilmente deriva dall’influenza culturale della grande comunita’ degli Zingari che vi risiedono.
Non solo gl’industriali d’Occidente dunque tra i protagonisti, ma anche i nomadi, gli artisti di strada, gli ambulanti improvvisati e i mendicanti, contribuiscono a fornire danno la loro nota di colore all’acquerello umano d’autunno che io ho avuto il piacere di scoprire ed ammirare.
Sono arrivato qui per motivi professionali e senza molte aspettative estetiche, ma forse nemmeno a Rio de Janeiro sarei rimasto
altrettanto impressionato dalla citta’. La prossima volta voglio tornarci accompagnato, per un fine settimana almeno, perché non so se siete d’accordo con me, ma io la penso così : una bella atmosfera non si gusta abbastanza se non la si condivide con gli amati e gli amici!