Visitare l’Africa è stato il mio desiderio antico, determinato sin da piccola dai racconti di mio padre. È stata l’esperienza di mio marito, che in seno ad alcune organizzazioni umanitarie vi ha compiuto diverse missioni, ad avvicinarmi alla realtà africana. La primavera scorsa la casualità mi ha introdotto alla congregazione delle suore
passioniste “sorelle di Santa Gemma”. Il 28 agosto, insieme ad altri undici volontari, sono partita per la Repubblica Democratica del Congo, destinazione Bukavu, città con oltre 300 mila abitanti, affacciata sul lago Kivu. È in questa città che le suore dirigono quattro centri di accoglienza per ragazzi di strada. Le cause della loro situazione di abbandono vanno ricercate nell’estrema povertà, nella disgregazione dei nuclei famigliari dovuta alla guerra e alla superstizione. Molti ragazzi infatti vengono abbandonati dalle famiglie perché ritenuti portatori di sciagure. Spesso malati, senza istruzione, col peso di violenze fisiche e morali, vengono accolti e sostenuti da educatori locali coordinati dalle suore. In alcuni casi, dove possibile, sono anche aiutati a ricongiungersi alle famiglie. Nell’attesa vengono istruiti nella scuola primaria. Per quelli per cui non sarà possibile il ricongiungimento al nucleo, finite le primarie, verrà data un’istruzione professionale, con corsi di avviamento al lavoro, che permettono loro di essere autonomi e in grado di provvedere a se stessi. Con l’opportunità e la speranza di una vita degna. Noi volontari abbiamo collaborato al completamento delle opere fognarie della “Casa di Matteo”, edifi cio-accoglienza in fase di ultimazione. E nei momenti di pausa abbiamo affi ancato gli educatori nelle attività quotidiane con i ragazzi. Il contatto con i piccoli ha generato una ricchezza inaspettata in ognuno di noi. Ci ha regalato un nuovo modo di vedere le cose, giudicare la vita, pesare il tempo che passa. Io ho riportato dall’Africa il calore della terra, l’abbraccio della gente, il sorriso dei bambini, la condivisione dei sentimenti, l’entusiasmo del fare, la paura dell’impotenza.