Don Davide Pagnottella è arrivato a Teramo nel 1979, quando si trovò a dover sostituire un altro parroco altrettanto amato quale fu don Giovanni Iobbi. La chiesa di piazza Garibaldi, intitolata al Cuore Immacolato di Maria è per tutti i teramani “la Madonnina”. Accogliente fi n dal sagrato, punto nevralgico del transito cittadino, dove dal primo mattino centinaia di studenti, pendolari, lavoratori e gente di ogni tipo, trova riparo in caso di maltempo, o aspetta i servizi pubblici. Quanta e quale gente ha accolto e accoglie la sua
chiesa, Don Davide? Siamo in una confluenza logistica dei tre viali principali di Teramo: Bovio, Cavour, Crucioli, che sfociano tutti nella rotonda di piazza Garibaldi. Queste strade, da sempre convogliano i locali, ma anche quelli che vengono dalle frazioni o dai paesi vicini. Una chiesa sempre aperta, non fosse altro che per ripararsi dalle intemperie, oltre che per motivi di fede, accoglie molte persone sul sagrato. Sagrato che abbiamo dovuto riparare e consolidare perché soprattutto durante il periodo scolastico, tantissimi ragazzi vi sostano e non potevamo rischiare che qualcuno si facesse male. Come sono cambiati in questi 30 anni le richieste e i bisogni di chi si rivolge alla sua parrocchia? La realtà dei bisogni, in questi 30 anni della mia presenza qui, è andata dalle richieste di tipo alimentare a quelle di tipo economico per sostenere i costi delle utenze. Sia io che il mio predecessore ci siamo sempre attivati per cercare di andare incontro a queste situazioni, ma abbiamo dovuto maturare delle modalità di aiuto diverse. Per esempio? L’iniziativa del “piatto caldo” è nata dalla proposta di uno dei miei parrocchiani, Umberto Impalone, che ebbe a dire una frase che mi colpì molto: “anche loro devono mangiare”. Sostenuto dalla sua disponibilità e mortifi cato dalla mia scarsa fede, che mi faceva temere di non riuscire a trovare suffi cienti mezzi per soddisfare una domanda che sarebbe sicuramente aumentata, nacque così l’idea di gestire una mensa, con le nostre forze. Volontari della parrocchia che cucinavano e distribuivano, ma all’atto pratico la cosa non funzionò molto bene. Perché a volte quello che veniva preparato non era suffi ciente, a volte invece era troppo, e se lo si riutilizzava per il giorno dopo, le persone che ne fruivano si sentivano ulteriormente mortifi cate dal fatto di ricevere cibo non fresco o riscaldato. La cosa quindi ci portò a considerare una diversa modalità, e oggi l’iniziativa si svolge attraverso l’emissione di un buono pasto da utilizzare presso un locale convenzionato, così si evitano sprechi. In tutte le iniziative, comunque, il problema non è reperire fondi, ma gestirli. Perché bisogna capire in che modo e a chi vanno destinati gli aiuti. Chi chiede oggi il vostro aiuto? Attualmente gli extracomunitari, persone di passaggio che trovano qui un momento di ristoro. A questo proposito, è capitato anche che le forze dell’ordine ci abbiano “rimproverato” di attirare (con la nostra accoglienza) gli extracomunitari, ma poi è successo anche che, quando ne arrestano qualcuno, ci chiamano per sfamarli. Notiamo anche l’arrivo di persone che non ti aspetteresti mai, e cioè i musulmani. La carità è una cosa seria: dare il pane non è tutto, bisogna anche dare l’opportunità di auto-provvedersi. Allora l’educazione, l’informazione e tutto ciò che può essere d’aiuto a cambiare la loro condizione sono ben fatti. Com’è il dialogo con le altre comunità religiose? Sempre molto aperto e costruttivo. C’è un buon rapporto con la comunità islamica, così come con la comunità ortodossa a cui abbiamo messo a disposizione una chiesa a Scerne di Pineto. Ogni Natale il loro sacerdote viene a salutare il nostro vescovo. Quando morì mons. D’Addario i musulmani vollero parlare e sostare attorno alla bara per omaggiare e rispettare l’autorità religiosa della città che li ospita. L’apertura e l’accoglienza sono necessarie per stabilire contatti e comunicazione. Da qui si può partire per ogni genere di aiuto: dal coordinare la domanda con l’offerta di lavoro, allo scoprire necessità laddove il pudore costringe al silenzio. La Caritas nel suo signifi cato più ampio signifi ca soprattutto ascoltare le richieste di aiuto, vedere i bisogni reali e cercare di fornire insieme al “pane quotidiano” anche il nutrimento per l’anima.